Questo periodo di quarantena da Covid non è e non deve essere visto come "tempo sprecato" o "improduttivo".
E' possibile vivere questo periodo di clausura investendo al meglio il tempo, ad esempio ascoltando noi stessi, riscoprendo cosa è veramente importante, riscoprendo le relazioni con i nostri cari. Questa situazione ha portato anche del bene all'umanità, abbiamo momentaneamente abbandonato una vita frenetica che puntava a massimizzare il profitto a discapito di altre cose in realtà più importanti. Molti di noi puntavano alla massima efficienza come persone (sul lavoro, a scuola, nello sport), le priorità della vita erano altre e spesso ci si dimenticava di noi stessi e di quello che realmente volevamo. Adesso, invece, siamo costretti a volgere lo sguardo verso ciò che è essenziale e veramente importante. Certo non si può negare che le emozioni che accompagnano queste giornate sono di ansia e di paura, ed è umano e normale che sia così. Prima di questa situazione avevamo la nostra vita, coi suoi problemi certo, ma comunque sotto controllo. Avevamo progetti di vita, programmi, propositi e improvvisamente tutto è stato stravolto, ma soprattutto abbiamo perso "l'illusione del controllo" sulla nostra vita. Va bene avere paura, va bene essere preoccupati, è naturale, questa situazione provoca stress ed è un peso emotivo sulle menti di tutti noi. Non è sano, invece, lasciarsi sopraffare da questi carichi emotivi. Molte persone soffrono di insonnia, pressione alta, difficoltà a concentrarsi, a provare motivazioni, ansia e depressione situazionale. Cerchiamo allora di seguire buone pratiche di alleggerimento del carico emotivo legato a questa situazione. Cosa non dobbiamo fare? Non sovraesporsi al clamore mediatico (evitare di fare ricerche compulsive su contagi, vaccini, evitare di seguire le notizie sui social, non fare abbuffate di notizie); non seguire compulsivamente quotidianamente i numeri di infetti e morti per Covid; non condividere informazioni non verificate alla fonte e comunque non condividere link allarmanti; non contribuire alla diffusione dello stress e del panico. Cosa dobbiamo fare? Informarsi solo mediante i canali ufficiali o testate autorevoli e limitatamente nel tempo; condividere link positivi e di speranza; aiutare a diffondere la calma; guardare canali che non trasmettano in continuazione notizie; ascoltare musica energizzante e positiva; parlare di altro con le persone evitando l'argomento Covid (che già impregna abbondantemente la nostra quotidianità); essere creativi (rispolverare giochi da tavolo, leggere libri, riprendere in mano strumenti musicali o di disegno/pittura, seguire ricette culinarie, ordinare la cena a domicilio e apparecchiare la tavola come fossi al ristorante o in un giorno di festa); cerca di tenere alto il tuo spirito e quello della tua famiglia. Se lavori da casa lavati e vestiti come se stessi andando a lavoro, lo stesso per i tuoi figli, vestili come se stessero andando a scuola. Non passare troppo tempo sul divano o a letto e cerca di fare attività fisica e preferibilmente anche un po di yoga, fisico e meditativo (è possibile fare molti esercizi anche a casa, esistono tanti video tutorial su YouTube). Tentare a tutti i costi di sopprimere le preoccupazioni o sottovalutare il problema è sbagliato, ma lo è anche farsi sopraffare da esso. Come sempre accade, la giusta via è nel mezzo. Bisogna essere vigili e consapevoli in modo lucido e razionale. Come gestire le emozioni e l'ansia?
IL SEGRETO È MANTENERE SEMPRE UN PENSIERO POSITIVO, CREATIVO E PROPOSITIVO. 3/10/2020 Bellissima riflessione dello psicologo Morelli che condivido pienamente. Invito tutti alla lettura.“Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte. Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare... In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l'economia collassa, ma l'inquinamento scende in maniera considerevole. L'aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira... In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class. In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all'altro, arriva lo stop. Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro. Sappiamo ancora cosa farcene? In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia. In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel "non-spazio" del virtuale, del social network, dandoci l'illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto. Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato? In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l'unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunita, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro. Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci. Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo." (Cit. F. MORELLI) Da qualche giorno tutti nel nostro paese abbiamo sperimentato scene di panico collettivo nel momento in cui i casi di contagio da coronavirus hanno cominciato ad aumentare in maniera esponenziale. Quello che veniva inizialmente visto come un problema lontano, improvvisamente e senza preavviso è diventato un problema reale proprio nel nostro territorio cogliendoci del tutto impreparati, soprattutto dal punto di vista psicologico. Quello che fino a qualche giorno prima era solo una notizia, improvvisamente è diventato un pericolo, peggio ancora un "pericolo invisibile". Uno degli elementi principali che favorisce l'insorgere del "panico" e "dell'angoscia" è proprio l’invisibilità del pericolo: l'uomo ha sempre temuto ciò che non vede e che quindi non può controllare, ciò genera "difese profonde" la cui unica funzione è quella di metterci in sicurezza. La "paura" è di per se un’emozione utile, poiché ci avvisa quando siamo o potremmo essere in pericolo permettendo al nostro corpo di reagire al fine di evitarlo, si tratta di un "emozione adattiva" funzionale alla nostra sopravvivenza. Ma il "panico" rappresenta una paura esasperata e conduce verso comportamenti irrazionali e senza fine adattivo. Dunque, se la paura costituisce una reazione vantaggiosa per la preservazione dell’individuo, il panico, al contrario, non avendo una funzione né di tutela del singolo né di risposta ad un evento avverso, porta l'individuo ad attuare comportamenti deleteri, verso se stesso e verso il suo entourage. Il “Coronavirus” spaventa poiché sappiamo di non avere nessun controllo su di esso e questo genera un’alta percezione di rischio e un elevato livello di ansia e paura. In questo caso si tratta della "paura del contagio" la quale, come la psicologia e la sociologia spiegano bene, è più "contagiosa" e si diffonde ancora più velocemente del virus stesso. Si parla in questi casi di "psicosi o isterismi collettivi", ovvero di condivise paure risvegliatesi nelle persone che hanno condotto ad atteggiamenti irrazionali di massa. Si è verificata una distorta percezione dell’effettivo pericolo, alimentata da una ricerca esasperata di informazioni (televisione, internet, giornali, notizie che passano attraverso messaggi) che in realtà ha generato un "effetto moltiplicatore" della stessa, aumentando ed amplificando così la percezione della gravità. La sociologia spiega come individui inclini al medesimo atteggiamento e che si ritrovino nella medesima condizione tenderanno ad assumere il medesimo comportamento collettivo, anche qualora questo fosse irrazionale. Di questo argomento si è interessato anche l'Ordine degli Psicologi il quale scrive sul sito ufficiale: «Il problema oggettivo del “coronavirus” diventa problema soggettivo in relazione al vissuto psicologico, alle emozioni e paure che il tema suscita nelle diverse persone. La “percezione del rischio” può essere distorta e amplificata sino a portare a condizioni di panico che non solo sono quasi sempre del tutto ingiustificate ma aumentano il rischio perché portano a comportamenti meno razionali e ad un abbassamento delle difese, anche biologiche, dell’organismo. E’ bene quindi affidarsi ai dati e alla comunicazione diffuse dalle autorità pubbliche e alle indicazioni di cautela e prevenzione in essa contenute. Ad esempio: – Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus – Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/ Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate. Avere timori e paure è normale ma non ansia generalizzata, angoscia o panico, che non aiutano e sono controproducenti. Poiché le paure possono diventare panico è bene sapere come proteggersi con comportamenti adeguati, pensieri corretti ed emozioni fondate. Per questo è stato diffuso un vademecum.» VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI Il drop out in terapia si verifica quando il paziente abbandona le sedute terapeutiche prima che siano stati raggiunti gli obiettivi concordati nel percorso terapeutico.
Mentre la conclusione della terapia è il momento in cui il percorso viene portato a compimento, l'interruzione è una sospensione improvvisa e a volte definitiva che mette fine alla relazione tra terapeuta e paziente. Si tratta quindi di un “fallimento nella relazione” e come tutte le relazioni che si interrompono, ovvero falliscono, provoca i suoi effetti, a volte devastanti, in entrambe le parti coinvolte. In questi casi è sempre il paziente che decide di interrompere la terapia, per uno o più motivi, ma nonostante la decisione sia sua è sempre colui che soffre maggiormente, soprattutto perché mette fine alla terapia senza aver sciolto quei nodi che lo hanno indotto a cercare un aiuto psicologico. Perché allora può succedere che si decida di interrompere la terapia? Chiunque decida di intraprendere una psicoterapia, al di là delle motivazioni, ha dentro di sé due parti in conflitto, quella che cerca il cambiamento (quindi cerca di modificare qualcosa della propria vita che causa disagio) e quella che si difende da questo cambiamento. Questo fa si che nelle varie fasi della terapia emergano delle "resistenze" che svolgono funzioni di tipo difensivo. Spaventa uscire dalla “comfort zone” (la condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio), prendere decisioni importanti, uscire dallo status quo. Allora si tende ad opporsi allo svelamento dei reali problemi o si decide di seppellire nuovamente tutto quello che è emerso. Si rinuncia alla concreta volontà di risolvere i problemi. Proseguendo nel suo percorso terapeutico la persona infatti si confronta inevitabilmente con la realtà, uno dei compiti del terapeuta del resto è quello di fare da specchio e aiutare la persona a guardare la realtà in modo “non distorto”, come era abituata a fare prima del percorso. Allora può rendersi conto che il problema inizialmente portato al terapeuta sia in realtà una copertura e che il problema reale sia qualcosa che fino ad allora negava a se stesso. Il paziente comincia quindi a chiedersi quanto è in grado di sostenere tale realtà e quanto voglia affrontarla. Molte persone di fronte a questa scoperta decidono di interrompere la terapia, in questo modo decidono di "fuggire dalla realtà". Questa fuga ha dunque a che fare con la reazione personale ed emotiva a quello che la terapia sta portando nella sua vita. Tra la ricerca della verità e la sicurezza molti sceglieranno la sicurezza. Così, tra le varie motivazioni inconsce che portano all'interruzione della terapia, spesso dietro il drop out c’è la fatica emotiva che il paziente non è disposto ad accettare, la fatica del concreto cambiamento. Inconsapevolmente la persona sabota sé stessa negandosi questa opportunità, o perché non è pronta ad affrontarla o perché la sente troppo dolorosa o problematica. Realizza che si trova ad affrontare l’arrivo dei cambiamenti che la terapia porta e si rende conto che li porta davvero, allora si spaventa, anche se non riconosce di avere paura, e quindi si mette sulla difensiva. L’interruzione quindi diventa la difesa per eccellenza, perché riconoscere di avere paura porterebbe la persona a dover affrontare i suoi timori e vorrebbe dire che è giunto il momento di scegliere se mettere in atto o meno il cambiamento. Oggi vorrei occuparmi di uno dei capisaldi della professione dello psicologo, IL SEGRETO PROFESSIONALE. Il segreto professionale vale anche se il paziente è minorenne? Lavorando anche con adolescenti mi è capitato a volte di dovermi rapportare con genitori arrabbiati perché non ero disposta a condividere con loro gli argomenti trattati con i loro figli. Qualche volta mi sono sentita addirittura dire "mio figlio è minorenne e perciò è mio diritto sapere cosa le dice". Cercare di far capire al genitore che i loro figli, come chiunque altro, hanno dei diritti e che anche loro in terapia sono tutelati dalla privacy e dalla riservatezza non è sempre facile. Iniziamo facendo un po' di chiarezza sul "segreto professionale" cui lo psicologo è "deontologicamente ed eticamente" obbligato nei confronti del paziente. Intanto esiste una sostanziale differenza tra lo psicologo che lavora nel pubblico e lo psicologo in ambito privato. Lo psicologo privato, a differenza dello psicologo del servizio pubblico, che è un pubblico ufficiale, non ha obbligo di denuncia per reati già commessi, non può denunciare il proprio paziente, altrimenti rischia una denuncia penale dal paziente stesso (Art.622 del Codice Penale). Esistono però delle deroghe al segreto professionale: Qualora il reato confessato stia per essere reiterato con possibili lesioni gravi o morte di altri soggetti (compreso il paziente stesso), vi è la deroga per giusta causa. E' ugualmente considerata una deroga per giusta causa se è lo psicologo ad essere in pericolo di vita o di lesioni gravi. Anche in questi casi però si riferisce agli inquirenti solo lo stretto necessario e non i dettagli delle sedute. Dunque, tutti i pazienti, sia in ambito pubblico che privato, hanno dei diritti che sono specificati nel codice deontologico dello psicologo (reperibile nei siti degli albi). Tra questi diritti vorrei occuparmi nello specifico del diritto alla riservatezza e alla privacy. Intanto vediamo cos’è il diritto alla privacy. "Il diritto alla privacy è il diritto soggettivo di costruire liberamente e difendere la propria sfera privata, controllando l’uso che gli altri fanno delle informazioni che riguardano il singolo individuo: è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione." La privacy dunque rappresenta una sorta di "diritto individuale, che tutela il singolo", è il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, uno strumento posto a salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo contro l'intromissione da parte di terzi. Il CODICE DEONTOLOGICO si occupa di questo argomento nello specifico nei seguenti articoli: art. 4 (DIRITTO ALLA RISERVATEZZA): Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso. art. 11 (SEGRETO PROFESSIONALE): Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti. art. 12 (TESTIMONIANZA E DEROGA AL SEGRETO): Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso. art. 13 (OBBLIGO DI REFERTO E OBBLIGO DI DENUNCIA): Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi. Nello specifico, per quanto riguarda i minori si evince dal Capo II – Rapporti con l’utenza e con la committenza, art. 31 (CONSENSO INFORMATO MINORI): "Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte". Questo consenso viene sempre preventivamente fatto firmare dallo psicologo ad entrambi i genitori e tutela il minore nei suoi diritti di paziente/cliente in tutto e per tutto, inclusa riservatezza e privacy. Ne consegue che:
Lo psicologo deve comprendere e rispettare le esigenze di riservatezza del minore, tanto più quanto è maggiore la loro età e il loro livello di maturità. L’interesse dello psicologo è sempre quello di instaurare un rapporto fiduciario forte col paziente, minore o adulto che sia: è "la relazione" il principale strumento di lavoro in psicoterapia. Come ho scritto in una pagina del mio sito: "Attraverso la creazione di uno spazio personale, in questo ambiente protetto basato su un ascolto autentico e la sospensione di ogni forma di giudizio, si delineerà quella particolare relazione tra terapeuta e paziente che accompagnerà quest’ultimo nel percorso di crescita personale". Quando un genitore cerca di intromettersi in questo rapporto lo mina e quindi mina la terapia stessa. Resta il fatto che nei percorsi psicologici con minori i genitori vengono non solo coinvolti nel processo diagnostico (attraverso la restituzione della diagnosi), ma anche in quello terapeutico, nell'ottica di una collaborazione utile al raggiungimento degli obiettivi stabiliti in terapia. Le informazioni condivise col genitore sono stabilite dal terapeuta in base all'utilità e i vantaggi che questo può comportare per il minore e per il successo del percorso terapeutico. Uno degli obiettivi della terapia è quello di favorire e rinforzare il dialogo tra genitori e figli, quindi un loro coinvolgimento va sempre suggerito al paziente minorenne quando è utile. Lo psicologo non è alleato del figlio e nemico del genitore, semmai è il ponte che punta ad unirli, per questo i genitori dovrebbero fidarsi maggiormente dello specialista a cui affidano il loro figlio, e lo fanno contrattualmente nel momento in cui firmano il consenso informato. Lo psicologo deve quindi avvalersi della sua competenza e autonomia professionale per decidere se è opportuno o meno riferire al genitore delle informazioni sul figlio senza il suo esplicito consenso, valutando attentamente se tali informazioni tutelano la salute e il benessere del minore. In altri casi invece può risultare necessario coinvolgere i genitori, ma è importante anche non rompere il rapporto di fiducia con il minore e il suo diritto alla riservatezza. In questi casi si può concordare insieme al minore stesso la modalità di contatto con i suoi genitori e i contenuti della comunicazione. Quindi, per concludere, se lo psicologo ritiene che il suo silenzio non sia pregiudizievole per l'incolumità del minore, ha la facoltà e il "dovere etico" di garantirgli assoluta riservatezza. Nel caso in cui invece ritenga che tenere all’oscuro i genitori possa pregiudicare l'incolumità del minore può e deve informarli, senza che ciò si configuri come violazione del segreto professionale. Per tutti coloro che avessero domande o volessero anche solo partecipare dicendo il loro punto di vista, vi invito a scrivere nella parte apposita del blog. Allego copia di modello di consenso a visione degli interessati. Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi.
1/24/2020 PERCHE' NON C'E' OBBLIGO DI FATTURAZIONE ELETTRONICA PER LE PRESTAZIONI PSICOLOGICHE SANITARIE.Tutte le fatture emesse dal 1° gennaio 2019 devono essere del tipo "FATTURA ELETTRONICA" con l'eccezione delle fatture:
Inoltre, non si può emettere fattura elettronica per NESSUNA OPERAZIONE SANITARIA effettuata a privati da soggetti tenuti a inviare i dati al Sistema Tessera Sanitaria, quali psicologi e psicoterapeuti, anche in caso di opposizione del paziente alla trasmissione al STS (come richiesto dal Garante per la Privacy). Si fa pertanto presente ai pazienti/clienti che per le prestazioni sanitarie rivolte a committenti privati ancora non vi è obbligo di fattura elettronica, resta invece l'obbligo per il professionista per le fatture emesse nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. La recente manovra finanziaria entrata in vigore il 1°gennaio 2020 ha introdotto alcune importanti novità fiscali che interessano coloro che scaricano le spese mediche in dichiarazione dei redditi, incluse prestazioni cliniche psicologiche.Le fonti ufficiali sono la Legge di Bilancio (LEGGE 27 dicembre 2019 , n. 160) e il Decreto Fiscale (convertito nella Legge 19 dicembre 2019, n. 157). Nello specifico ci si riferisce all'OBBLIGO DI ACCETTARE PAGAMENTI "ELETTRONICI. Ai contribuenti persone fisiche è consentita, in dichiarazione dei redditi, la detraibilità nella misura del 19% degli oneri, di cui all'art 15 del TIUR , tra cui anche le spese sanitarie, solo a condizione che il pagamento delle stesse sia effettuato attraverso pagamenti elettronici, ovvero versamenti bancari o postali (bonifici), assegno, carte di credito o bancomat, prepagate, pena la perdita della detrazione. L'utilizzo del contante può essere accettato (nei limiti della normativa antiriciclaggio) non essendo né precluso né vietato, ma non consente ai pazienti persone fisiche la detraibilità della spesa sanitaria in dichiarazione dei redditi. Attualmente non sono previste sanzioni per i professionisti che non ottemperano all'obbligo di dotarsi di POS (introdotto dalla normativa del 2014), purché mettano il paziente/cliente nella condizione, qualora lo chieda, di poter ricorrere ad un sistema di pagamento tracciabile, come quelli sopra menzionati. 5/18/2017 Perché pagare uno psicoterapeuta?”"Perché pagare uno psicoterapeuta?”, “Quanto dura il suo intervento?”, “Qual è la sua utilità?”. Sono queste le domande che rimbalzano continuamente nella testa delle persone, specialmente in quella di coloro che si stanno separando e credono di poter trovare la soluzione da soli o, peggio, chiedendo consigli ad amici e parenti.Proviamo allora a dare le giuste risposte su un argomento così importante e delicato.
Per continuare a leggere l'articolo che ho scritto per AIGES (agenzia italiana genitori separati) clicca qui La separazione non è un processo facile, soprattutto quando a concludersi è una relazione di lunga durata da cui si è generata una famiglia. Così, di fronte alla difficoltà di una crisi, si moltiplicano esponenzialmente le richieste di consulenza genitoriale. Ma perché accade ciò? Quale è il motivo di una così immediata consequenzialità?
Per continuare a leggere questo articolo scritto per Aiges (agenzia italiana genitori separati) clicca qui |
Anna Rita Mancini
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicodinamico integrato con tecniche cognitive e tratte dalla Schema Therapy. Esperta in psicodiagnostica, orientamento e formazione. Dal 2007 mi occupo di supporto psicologico e psicoterapeutico per adulti e minori in età scolare, sia in materia di problematiche relazionali, affettive (di coppia, genitori-figli, sociali, ecc.), difficoltà di gestione dei conflitti personali e interpersonali, elaborazione di traumi legati a perdite affettive, educazione e genitorialità a 360 gradi, tema quest'ultimo sul quale ho tenuto corsi di formazione per le scuole pubbliche primarie e secondarie. Da diversi anni, inoltre, offro orientamento e supporto a coppie in fase di separazione e/o bisognose di un accompagnamento psicologico durante il periodo della difficile elaborazione decisionale. Archivi
Febbraio 2023
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