Come si può vedere nella serie televisiva "Modern Family" partita nel 2009, parlare oggi di "famiglia", "relazioni familiari", "rapporti genitori figli", apre tutta una serie di sfumature a cui anche la psicologia e i metodi psicologici con cui si affrontano le dinamiche e le problematiche familiari si sono dovuti adeguare. TRA FAMIGLIA TRADIZIONALE E FAMIGLIA MODERNA. La struttura familiare si è inevitabilmente evoluta negli anni. La legge sul divorzio è stata la prima a contribuire a questo cambiamento. Le "famiglie nucleri tradizionali a struttura mono-nucleare" sono evolute in "famiglie bi-nucleari", alcune delle quali a loro volta si sono trasformate in "famiglie pluri-nucleari" e "pluri-genitoriali". Sto parlando ovviamente di "famiglie ricomposte" dove uno o entrambi i genitori hanno già una responsabilità genitoriale che spesso interferisce con le dinamiche della nuova coppia, o della famiglia, nel caso in cui la nuova coppia costituisca un nuovo nucleo familiare (ovvero decidano di avere dei figli loro). Queste famiglie si trovano a dover affrontare diverse problematiche:
Non è facile gestire da soli la complessità delle dinamiche in gioco, spesso si commette l'errore di adottare strategie di coping che portano la coppia ad arenarsi e così ad alimentare conflitti, ambiguità o esclusione del partner dall'educazione dei figli acquisiti per non creare competizione col genitore biologico. Per questo è indispensabile rivolgersi ad un professionista che aiuti la coppia genitoriale a funzionare in modo adeguato e costruttivo, nell'interesse non solo dei figli, ma anche della coppia stessa. COME SI COMPORTA LA PSICOLOGIA OGGI DI FRONTE A QUESTI PROBLEMI? Dal momento che non si può più parlare di "famiglia nucleare tradizionale", il focus dell'analisi oggi non verte più sulla "cultura della devianza", quella che ha prevalso fino agli anni Ottanta, ma sulla "cultura della differenza". Si analizzano i modelli relazionali nei diversi tipi di strutture familiari, le diverse circostanze di vita delle famiglie ricostituite, le relazioni e i rapporti tra tutti i membri delle famiglie ricostituite, invece di evitare i problemi si spingono i vari membri familiari ad affrontare le nuove tematiche e criticità. Si analizzano tutte le risorse a cui attingere per risolvere i problemi non più tradizionali, nell'ottica appunto del evidenziare le differenze. E NELLE COPPIE GAY COME SI PROMUOVE IL BENESSERE FAMILIARE E IL SOSTEGNO ALLA GENITORIALITA' ? Chi sono le "famiglie omogenitoriali"? Sono famiglie con genitori omosessuali, ma anch'esse presentano diverse tipologie di strutture e composizione. La principale macrodistinzione è tra famiglie i cui figli sono stati consepiti in una precedente relazione eterosessuale e cresciuti successivamente nella nuova relazione omosessuale (di uno o entrambi i genitori), come accade per le "famiglie ricomposte" eterosessuali, e le famiglie i cui figli sono concepiti all'interno della relazione omosessuale, chiamate "famiglie di prima costituzione". I vissuti dei figli all'interno di questi due tipi di famiglie sono molto diversi. Nella prima tipologia i figli passano attraverso "il divorzio" e la "rivelazione" dell'omosessualità del/dei genitori. Mentre i vissuti dei genitori assumono, oltre alle dinamiche già viste nelle "famiglie ricomposte", problematiche legate ai vissuti del ex coniuge, dei figli, dei contesti sociali, micro e macro. L'aspetto più rilevante in questa tipologia di famiglia è legato alla "percezione" del genitore che ha fatto coming out nei confronti dei figli, ma anche col mondo esterno, che cambia in modo radicale rispetto a quella tradizionale. Questa problematica non si presenta nelle "famiglie di prima costituzione" in quanto la percezione è intrinsecamente connaturata nel nucleo familiare prima ancora della nascita dei figli. Questa macrodistinzione negli anni ha portato di fatto alla nascita di due diverse assocciazioni in Italia, Rete Genitori Rainbow "famiglie ricomposte" provenienti da precedenti nuclei familiari etero, e Famiglie Arcobaleno "famiglie di prima costituzione" omogenitoriali. Questo perchè il sostegno e l'aspetto psicopedagogico varia in funzione delle problematiche e dinamiche che si presentano. COSA FA IL TERAPEUTA? Il sostegno alla genitorialità delle coppie gay cambia connotazione a seconda dell'origine del nucleo familiare, poichè cambiano i vissuti, le percezioni (proprie e da parte degli altri), le dinamiche che enrano in gioco, soprattutto in relazione al sociale. Ad esempio nelle "famiglie ricomposte" il tema della gestione del coming out è più presente che nelle "famiglie di prima costituzione", inoltre sono presenti problemi che in una famiglia già definitasi omogenitoriale non ci sono, come ad esempio lo stigma, il doversi nascondere e vivere la propria omosessualità in modo privato. Il terapeuta deve tener conto delle differenze legate alla tipologia di famiglia, alla coppia omosessuale e omogenitoriale. Nel caso delle "famiglie ricomposte" è importante lavorare sul superamento dell'imbarazzo, sul coming out, sul viversi non più in modo privato la propria omosessualità, sui vissuti dei figli legati alla "rivelazione", sulla frustrazione del ex partner, sulla gestione delle problematiche già viste nei casi di "famiglie ricomposte etero" aggravate dal tema dell'omosessualità (gestione dei rapporti coi figli, con l'altro genitore, l'introduzione del nuovo partner). Nel caso delle "famiglie di prima costituzione" spesso le coppie omosessuali si approcciano al terapeuta per prepararsi in modo consapevole e responsabile all'arrivo dei figli. Successivamente è importante, più che lavorare sui vissuti già intrinsechi, esplorare i livelli di integrazione nel contesto sociale, micro e macro. Capire se esiste una rete di supporto, una connessione con altre famiglie omogenitoriali ad esempio, che può conferire un significato di identità e validazione alla famiglia. Il terapeuta lavora anche per aiutare genitori e figli a fronteggiare il pregiudizio esterno e a gestire frustrazioni legate a situazioni di imbarazzo e rifiuto. E' fondamentale anche una collaborazione con il contesto sociale e scolastico, inteso come sensibilizzazione, formazione e guida, al fine di rendere l'esperienza della famiglia più possibile positiva. Significato Coming Out: L'espressione ormai universalmente nota "coming out" viene usata per indicare la decisione di dichiarare apertamente e pubblicamente il proprio "orientamento sessuale" o la propria "identità di genere" (il riconoscersi come persona nell'altro sesso, opposto a quello di appartenenza fisica ed anatomica, ovvero l'identità di genere psichica non corrispondente a quella fisica). In questo articolo mi voglio soffermare solo sul Coming Out degli adolescenti relativamente al loro orientamento sessuale, diverso da quello socialmente e culturalmente riconosciuto a livello universale e accettato, ovvero l'eterosessualità. Premetto che ci sono vari orientamenti sessuali diversi da quello etero, ma ne scriverò a parte. Dalla consapevolezza alla dichiarazione. Nella nostra società, in passato come oggi, l'eterosessualità (attrazione tra sessi opposti) viene considerata "normale" mentre "l'omosessualità", intesa come "inclinazione erotica verso soggetti del proprio sesso", è considerata "diversità". Per questo, come viene spiegato bene nel film "love Simon", è difficile per una persona, soprattutto se adolescente, riconoscere prima di tutto con se stessa "coming out interiore" e poi dichiarare pubblicamente, "fare coming out", la propria omosessualità. La persona vive questo processo con una forte emotività e un forte stress, in parte perchè si trova a dover mettere in discussione se stessa, ma soprattutto perché la nostra società tende a contrastare ed etichettare in modo negativo tutto ciò che non rientra nei canoni socialmente condivisi, come l'omossesualità. Una volta che la persona ha preso atto dell'impossibilità di cambiare il proprio orientamento sessuale, ovvero ha passato la fase dell'accettazione "coming out interiore", si trova nella difficile posizione di dove decidere se dichiararsi o meno alla società "fare coming out". Trama film. "Tuo, Simon" (titolo originale "Love, Simon") è un film del 2018 distribuito da 20th Century Fox. Il film è l'adattamento cinematografico del romanzo "Non so chi sei, ma io sono qui" di Becky Albertalli distribuito in Italia da Mondadori. Il protagonista, un ragazzo di 17 anni, Simon, vive con la sua famiglia e frequenta l'ultimo anno del liceo. Trascorre il suo tempo libero con 3 cari amici a cui però non ha rivelato l'aver realizzato di essere gay. Simon conosce on-line un misterioso ragazzo gay di cui si innamora e con cui comincia una corrispondenza, cercando di capire chi è realmente dato che il ragazzo frequenta i suoi stessi ambienti e la sua scuola. Un giorno però Simon utilizza il PC della classe per scrivere la sua e-mail allo sconosciuto, ma chiude frettolosamente il PC e se ne va. Un suo compagno di classe usa il computer dopo di lui e legge la mail di Simon, di cui fa degli screenshot che utilizza per ricattarlo. All'inizio Simon cede ai ricatti, ma poi, data la pressione psicologica subita, decide di fare coming out con la sua migliore amica, per nulla sorpresa della rivelazione. Alla fine il ricattatore renderà pubblica l'omossesualità di Simon il quale si troverà abbandonato dai suoi amici che sono in realtà arrabbiati con lui per non essersi confidato. Successivamente Simon ammette di essere gay anche con i suoi genitori i quali, soprattutto il padre, rimangono colpiti. A scuola Simon diventa il bersaglio di derisioni e atti di bullismo da parte dei compagni, sino a quando deciderà di scusarsi con gli amici per il suo comportamento e farà pubblicamente acting out. Il vissuto emotivo dei gay. Come risaputo l’adolescenza è il momento in cui il desiderio sessuale e l’attrazione emotiva si fanno più intensi. Ma se per un eterosessuale questo processo è vissuto come normale, come fa vedere il film, per l’adolescente gay il desiderio, tipico dell'adolescenza, di esporsi e dichiararsi viene vissuto in maniera ambivalente, poichè l’inibizione data dal contesto socioculturale impone sentimenti di vergogna e spinge a tenere il segreto e vivere nella vergogna. Così, oltre ai cambiamenti fisici e psicologici tipici di questa difficile età, chi generalmente è attratto dallo stesso sesso di appartenenza sperimenta amplificati sentimenti di diversità, i quali hanno origine a causa della cultura di appartenenza che è fortemente condizionante. Consigli per i genitori. Cosa bisogna dunque fare e come ci si dovrebbe comportare quando un figlio/a adolescente dichiara di essere gay? Prima di tutto bisogna essere il più empatici possibile, mettersi nei loro panni, cercare di capire le difficoltà cui stanno andando incontro, le difficoltà che incontreranno coi i loro pari e il contesto sociale stigmatizzante. Non bisogna considerare una tragedia la dichiarazione, perchè la paura di non essere accettati per quello che sono, di deludere i genitori e la famiglia, di essere sbagliati, è l'emozione più difficile per loro da gestire e hanno bisogno del supporto almeno della famiglia. Occorre sottolineare e far sentire ai figli che li si ama indipendentemente dal loro orientamento o identità sessuale, in fondo rimangono gli stessi figli che si è amato sino ad allora, come mostrato anche nel film "love,Simon". È importante non fare distinzioni tra fratelli/sorelle e stabilire regole valide per tutti i propri figli. Ad esempio, se la regola della casa è quella di permettere ai figli etero di ospitare per la notte i fidanzati, bisogna applicare la stessa regola ai figli gay. Oppure, se si permette ai figli etero di portare i fidanzati alle feste di famiglia, occorre dare lo stesso diritto e sostegno ai figli gay. Bisogna ulteriormente proteggere i propri figli dagli stigmi sociali. Sebbene ci sia più tolleranza oggi viviamo ancora in un mondo in cui i giovani LGBT(acronimo italiano usato sin dagli anni 90 per indicare: Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender) affrontano molte minacce, come mostrato anche nel film. Per questo motivo bisogna assicurarsi che i propri figli siano al sicuro nei loro vari ambiti di vita: scuola, sport e interessi. L'aiuto psicologico. Se è utile per i figli omosessuali superare eventuali difficoltà legate all'omosessualità, li dobbiamo orientare verso un esperto terapeuta che possa aiutarli. Se invece è utile per i genitori lavorare per accettare la dichiarazione del figlio, esistono gruppi di auto-aiuto o di condivisione delle problematiche, o può essere utile per loro fare un percorso di sostegno psicologico. Come terapeuta negli anni mi sono trovata a gestire con gli adolesenti sia la fase di dichiarazione, incoraggiamento all'acting out, sia la fase di supporto psicologico di adolescenti, maschi e femmine, che hanno sperimentato il loro orientamento omosessuale. I problemi più ricorrenti che questi ragazzi hanno spermentato dopo "l'acting out" in famiglia sono stati: non accettazione da parte dei genitori del loro orientamento sessuale; sentimenti di vergogna stimolati dai familiari; cercare di far cambiare idea ai figli, etc. Spesso venivano paragonati in modo negativo rispetto ai loro fratelli e sorelle, lamentavano di veder svanire il sogno di diventare nonni, specie con i figli maschi, o in generale di non poter vedere soddisfatte le loro aspettative, ponendo in questo modo un ulteriore fardello sulle spalle del figlio. Altri genitori non permettevano ai fidanzati di restare a dormire a casa loro, neanche in un altro letto o un'altra camera. Chiedevano ai figli di non farsi vedere in pubblico in atteggiamenti romantici per il senso di vergogna provato. Conclusione. Per questi e altri motivi è importante che il genitore sia alleato e non un ulteriore problema per il figlio che già deve elaborare con una crisi ancora più forte la sua adolescenza e sessualità. Introduzione sulla Pet Therapy. La pet therapy è una forma di terapia in cui si lavora "sull’espressione delle emozioni". Il terapeuta che la applica utilizza alcuni animali (quali cani, cavalli, delfini e gatti) al fine di aiutare il paziente a migliorare nelle "aree emotive, sociali e comportamentali". La "comunicazione verbale" che il terapeuta utilizza durante le sessioni è finalizzata ad aiutare il paziente ad esternare i pensieri, le emozioni e la sofferenza che, attraverso la condivisione tra lui e l'animale, sperimenta. Negli anni ’60 lo "psichiatra infantile Boris Levinson" è stato il primo a coniare il termine “Pet Therapy”, attribuendogli anche valore scientifico. Oggi la "Pet Therapy" in Italia viene riconosciuta come utilizzabile per la cura di anziani e bambini. In realtà l’addomesticamento degli animali da parte dell’uomo ha origini molto antiche, ma solo all’inizio del XX secolo si è capita l'mportanza degli animali nel produrre "effetti positivi e terapeutici" nella psiche umana ed in alcune patologie fisiche. 1.Trama film. Hachiko è un film del 2009, remake del film giapponese del 1987, basato sulla "storia vera" del cane giapponese Hachiko. Parker Wilson è un professore di musica che fa il pendolare per andare e tornare dal lavoro. Una sera, arrivando in stazione, trova un cucciolo di akita smarrito e decide di portarlo a casa per accudirlo, in attesa che il padrone venga a reclamarlo. La moglie è inizialmente contraria a tenere il cucciolo, ma vedendo il "legame d'affetto" che il cucciolo e suo marito hanno subito instaurato, decide di ricredersi. Parker viene in seguito a sapere che gli "Akita" sono cani piuttosto particolari, in grado di sviluppare con il proprio padrone un legame molto più forte di quello che può nascere in cani di altre razze. Il cane col tempo lega profondamente con il padrone, al punto che arriva ad accompagnarlo ogni mattina alla stazione per poi tornarvi alle cinque del pomeriggio, orario in cui solitamente il professore rientra dal lavoro, per accoglierlo. Una mattina Parker si reca al lavoro come al solito, ma durante una lezione in aula è colto da un malore e muore. Il cane, come ogni giorno, si reca alla stazione all'orario in cui solitamente il suo padrone arrivava, ma non vedendolo decide di aspettarlo, finchè il genero di Parker lo va a prendere e lo riporta a casa. La figlia di Parker e suo marito decidono di tenere il cane a casa loro, ma alla prima occasione il cane scappa e ritorna alla stazione. Capendo che non c'è modo di impedirgli di scappare per recarsi in stazione tutti i giorni, decidono di lasciarlo libero di fare quello che vuole. Così Hachiko continua a recarsi ogni giorno alla stazione, attendendo invano l'arrivo di Parker, e con il passare del tempo viene notato dai pendolari, ferrovieri e negozianti locali, che lo nutrono e se ne prendono cura. Dopo 10 anni Hachiko è ormai vecchio e malconcio ma continua a farsi vedere in stazione in attesa di Parker. Il tempo continua a scorrere e un giorno Hachiko guarda la porta della stazione, stanco e ormai in procinto di morire. Nei suoi ultimi istanti rivede la sua vita con Parker, prima di esalare l'ultimo respiro e in una commovente scena finale, cane e padrone si incontrano nuovamente nel mondo ultraterreno. 2.Sul legame tra animale e padrone, dalla letteratura alle filmografie. Storie vere come questa sono state raccontate in altri film e letterature. Dalla storia vera di "Greyfriars Bobby" (un cane di razza terrier) divenuto famoso nel diciannovesimo secolo ad Edimburgo, Scozia, per aver passato quattordici anni della sua vita davanti alla tomba del padrone, fino alla propria morte. In onore del quale è stata eretta una statua nel centro della città ed è stato girato un film nel 1961. Al più recente "A spasso con Bob", titolo originale "A Street Cat Named Bob", dove James Bowen, autore del libro da cui è poi stato realizzato successivamente il film nel 2016, ci racconta come una gatto trovato per strada da lui adottato gli ha completamente cambiato la vita, aiutandolo a liberarsi dalla dipenza da droghe e a regolamentare la sua vita. Ma anche la fiction ha spesso riportato l'importanza del legame tra uomo e animale, da Lassie, a Balto, Free Willy, Flipper il delfino, "War Horse" che è un tributo ai tanti cavalli morti in guerra. 3.Benifici di chi possiede un animale di compagnia. E' scientificamente provato oggi che possedere una animale domestico produce effetti positivi sia a livello di salute fisica che mentale. E' stato provato che un animale in casa "riduce il rischio di infarti e ictus" e che chi possiede un animale domestico visita il dottore meno rispetto a chi ne è privo. Inoltre, alcuni animali possono portare nelle nostre case una serie di batteri che "rafforzano il nostro sistema immunitario" e può inibire lo sviluppo di allergie nel corso della vita. Un aspetto particolarmente importante per i bambini, la presenza di un cane o gatto durante la crescita riducono la possibilità di sviluppare "asma" . Per quanto riguarda invece il benessere psicologico, è stato provato che interagire col proprio animale domestico riduce lo "stress", abbassa i battiti cardiaci e "aumenta il livello di ossitocina", l’ormone dell’amore e della felicità. Uno studio, infine, dimostra che dormire in compagnia di un amico a quattro zampe "migliora la qualità del sonno". Io stessa consiglio ai miei pazienti, per i figli, o agli anziani, o a coloro che risentono negativamente dell'uscita dei figli dal nucleo familiare, o si ritrovano separati o vedovi, ma anche ai giovani adulti che vanno a vivere da soli e alle giovani coppie, di adottare un animale domestico. L'animale non solo diventa compagno di vita, spesso un membro di famiglia, ma è anche un "antistress, un antidepressivo e anti ansia", qualcuno con cui parlare o semlicemente che ci consola attraverso le coccole, spesso agisce anche da "collante" tra i membri della famiglia e le coppie. Conclusioni. E' ormai scientificamente provato che chi ha in casa un pet (animali domestici o addomesticati) vive meglio, è più sereno e le liti domestiche diminuiscono parecchio. In Italia non si è ancora giunti ad una regolamentazione chiara e unica, di fatto la pet therapy non viene riconosciuta come "terapia", e quindi nella maggior parte dei casi non esistono finanziamenti degli enti sanitari pubblici, anche se vengono portate avanti dalle onlus associazioni di volontariato. Resta il fatto però che possedere un animale aiuta le persone a vivere meglio, spesso anche solo quella passeggiata di 30 minuti col cane, per non parlare di chi ha la fortuna di possedere un cavallo e poter andare a spasso in mezzo alla natura, aiuta a scaricare stress e tensioni, in modo più salutare di una sigaretta o di un bicchiere o due di alcolici. Provate a fare un bagno coi delfini per capire cosa vuole dire. 1.Il Disturbo Borderline di Personalità. Tale Disturbo è una "patologia psicologica" caratterizzata da una forte "instabilità affettiva ed emotiva", "incapacità di controllo degli impulsi", frequenti "difficoltà nelle relazioni" interpersonali e "un'immagine di sé distorta e negativa". L'individuo avverte la sofferenza, riconosce le proprie difficoltà, ma non riesce a controllarle o ritiene che non dipendono da lui. "L'impulsività" è comune nei Borderline, "dall'autolesionismo" alle varie forme di "dipendenze" (alcool, droghe, gioco d'azzardo, rapporti sessuali frequenti, casuali e non protetti, abbuffate alimentari, guida spericolata e ricerca del brivido, spendere oltre le proprie possibilità, shopping compulsivo, etc.). I pazienti con Disturbo Borderline di Personalità tendono inconsapevolmente a sabotare la propria vita e i propri successi, per esempio possono lasciare gli studi poco prima del diploma o della laurea, cambiano continuamente lavoro, tendono a rovinare ogni relazione, d'amore, d'amicizia, coi familiari e tra colleghi, e anche col terapeuta. Possono essere presenti "pensieri paranoici" e a volte sintomi di tipo psicotico (ad es. allucinazioni), in genere scatenati da forti stress o più spesso dalla paura dell'abbandono. Questi sintomi sono però temporanei e di solito non abbastanza gravi da essere considerati un disturbo a sè. Nei casi gravi si rileva una "forte compromissione del funzionamento sociale" unita a "condotte autolesive" e "comportamenti suicidari e parasuicidari". 2.Psicoterapia: trattamento indispensabile, ma difficile. Proprio perchè il paziente con Disturbo Borderline di Personalità tende a sentirsi abbandonato o trascurato - per esempio diventa furioso quando qualcuno importante per lui ha pochi minuti di ritardo o annulla un impegno, perchè è spaventato e pensa che questo abbandono significhi che "è stato cattivo" (pensiero irrazionale) - è frequente che si verifichi il "drop-out", ovvero abbandono della terapia. In genere non si tratta di un vero drop-out, ma più di un "tira e molla", così come avviene in tutte le sue relazioni. Si allontana e abbandona la relazione quando è arrabbiato, per poi tornare quando si sente solo e fragile. Il borderline teme l'abbandono, non vuole e non riesce a stare da solo, però il suo cambiare continuamente e drammaticamente l'idea che ha degli altri lo porta suo malgrado a far scappare tutti e a ritrovarsi da solo. Può idealizzare un potenziale caregiver o amante nelle prime fasi del rapporto, come anche il terapeuta, pretende di spendere molto tempo insieme a lui, diventando possessivo ed estremamente geloso, per poi improvvisamente sentire che la persona non si preoccupa abbastanza restandone così deluso e scappando dalla relazione. Proprio questo passaggio dall'idealizzazione alla svalutazione riflette il modo di pensare in "bianco e nero", "bene e male" tipico del borderline. 3.Sulla Schema Therapy. La Schema Therapy è stata sviluppata da Jeffrey Young che nello specifico affronta il trattamento Borderline di Personalità in una parte del testo professionale: Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko e Marjorie E. Weishaar (2007) Schema therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità, Erickson. Young ha sviluppato la Schema Therapy con l’obiettivo di superare i limiti della CBT tradizionale (terapia cognitivo comportamentale), integrando tecniche di diverse scuole ha ottenuto un modello terapeutico maggiormente efficace nel trattamento dei disturbi di personalità, tra cui quello Borderline. Il "punto centrale della Schema Therapy" è che ogni essere umano, fin dall’infanzia, ha dei "bisogni forndamentali" che devono essere soddisfatti, se questo non avviene la persona svilupperà una serie di "Schemi Maladattivi" e di "Mode Disfunzionali" che non le permetteranno di vivere una vita soddisfacente in piena aromia con se stesso e con gli altri. "L'efficacia del trattamento tramite Schema Therapy" deriva dal fatto che "integra elementi di terapia cognitiva comportamentale, della Gestalt, della psicoanalisi, della teoria dell’attaccamento, della psicoterapia costruttivista, della psicoterapia focalizzata sulle emozioni", in un unico modello. "Obiettivo terapeutico della Schema Therapy" è quello di "rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento dei suoi Schemi e Mode", al fine di aiutarlo a trovare "Strategie di Coping" più efficaci per soddisfare i suoi bisogni frustrati. Secondo Young sono proprio gli "Schemi Maladattivi" che si formano nell’infanzia, in seguito alle esperienze negative, all’origine dei "Disturbi di Personalità" o di altre patologie croniche. I "Mode" invece comprendono sia le "emozioni" che le "risposte di Coping", un Mode è dunque un insieme di "Schemi e relative risposte", adattive o maladattive, presenti nell'individuo. Per questo uno degli obiettivi del percorso terapeutico tramite Schema Terapy è "aiutare il paziente a passare da un mode disfunzionale ad uno più funzionale". 4.Quando un Mode è disfunzionale? Quando determinati Schemi o risposte di Coping emergono sotto forma di "emozioni negative" per l’individuo, o "evitamento" o "comportamenti autodistruttivi", allora si è in presenza di Mode disfunzionali. Secondo Young e colleghi nelle persone senza "Disturbi Psicologici" i vari Mode sono integrati in una definita e chiara "Identità Personale" e volontariamente regolati, mentre nei pazienti con "Disturbi di Personalità", in particolare nel "Disturbo Borderline di Personalità", si nota una "tendenza a passare da un Mode all’altro in modo rapido, improvviso e inconsapevole". In un momento sono vittime, poi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. "Manca l’integrazione di questi aspetti", la capacità di prendere le distanze dal Mode che li domina e la capacità di gestirne l’espressione. 5.Cosa prevede il trattamento secondo Schema Therapy? Il trattamento si divide in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”. Nella prima fase il terapeuta si focalizza nell'aiutare il paziente ad identificare gli "Schemi Maladattivi", cercandone le origini. In questo modo il paziente impara anche a familiarizzare con il "Modello degli Schemi" e a riconoscere i propri "Stili di Coping Maladattivi" che contribuiscono al mantenimento di questi Schemi. In questa fase il terapeuta si avvale di molteplici techiche: colloqui, somministrazione di questionari, compiti di automonitoraggio ed "esercizi immaginativi", questi ultimi aiutano il paziente a collegare le esperienze vissute nell'infanzia agli attuali problemi. Terminati questi passaggi, terapeuta e paziente programmano una terapia che includerà l’utilizzo di "strategie cognitive, esperienziali e comportamentali" e si fonderà, come molte terapie, sulla "relazione terapeutica". Alla luce di tutto questo si può riassumere che il trattamento prevede un "intervento trasformativo", sia a livello emotivo che cognitivo e comportamentale. In questo modo il disturbo si indebolisce e si attiva con intensità e frequenza minore. 6.Come funzionano le tre tecniche?
7.Sulla relazione terapeutica. Gli "Schemi", gli "Stili di Coping" e i "Mode" si attivano e si presentano anche nella relazione con il terapeuta. In terapia, infatti, il paziente interiorizza il terapeuta come un "Adulto Funzionale" che contrasta gli Schemi Maladattivi, aiutandolo a vivere in modo più soddisfacente. Due aspetti della "relazione terapeutica" sono particolarmente importanti secondo la Schema Therapy: "l’atteggiamento di confronto empatico" del terapeuta e "l’utilizzo del parziale reparenting".
Attraverso il "Reparenting" e gli "esercizi immaginativi", si crea in seduta una situazione di ritorno al passato che permette al paziente di "ritornare ad essere quel bambino" e rivivere le esperienze che hanno determinato la formazione degli Schemi, ma questa volta in un "contesto protetto e sicuro" dove finalmente può vedere soddisfatti i suoi bisogni, grazie all’intervento del terapeuta nella scena. 8.Il mondo interiore del paziente borderline letto dalla Schema Therapy. Nel Disturbo di Personalità Borderline sono presenti "5 modes predominanti" che interagiscono tra loro in modo distruttivo. Il mondo interiore del paziente si presenta come la scena di un teatro dove entrano in gioco forze della crudeltà, della rabbia, della sottomissione e della indifferenza. I cinque modes attivi sono: il "bambino abbandonato e maltrattato" (a cui sono correlate le intense emozioni negative del paziente borderline); il "bambino arrabbiato e impulsivo" (legato agli scoppi di rabbia del paziente e ai suoi comportamenti impusivi); il "protettore distaccato" (correlato a comportamenti di evitamento emotivo, come la dissociazione, l’abuso di sostanze o il ritiro sociale); il "genitore punitivo" (connesso ai sentimenti di auto-svalutazione e auto-punizione); e "l'adulto sano", quello che deve essere rafforzato in terapia. CONCLUSIONI. Obiettivi ed effetti della Schema Therapy. L'obiettivo principale della Schema Therapy è quello di "aiutare i pazienti a trovare modalità maggiormente adattive e non distruttive" per soddisfare i propri bisogni, rafforzando l'adulto sano grazie "all'interiorizzazione del modello accudente" fornito dal terapeuta. La Schema Therapy aiuta anche a "modificare i comportamenti ed il modo in cui le persone si relazionano" con le figure significative e la modalità con cui si cerca di raggiungere i propri obiettivi di vita. Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi. 1.Cos'è il Parent Training? Si tratta di un "intervento psicoterapeutico" di matrice cognitivo comportamentale che ha l’obiettivo di "coinvolgere i genitori nel programma riabilitativo e terapeutico intrapreso dai figli". Gli incontri di Parent Training sono condotti da uno psicologo-psicoterapeuta che, partendo da situazioni di vita quotidiana riferite dai genitori, fornisce "strumenti utili alla gestione dello stress e delle problematiche presentate". Nello specifico, questo intevento permette di lavorare sul bambino e sull'adolescente attraverso il "rapporto di consulenza e orientamento formativo con i genitori". Ovvero, sono i genitori che si rivolgono al terapeuta per un percorso "psicoeducativo", diventando il mezzo attraverso cui, con la guida del terapeuta, si arriva ad ottenere i cambiamenti nei comportamenti disfunzionali dei figli. L’approccio terapeutico con i minori per i "Disturbi dell’età evolutiva" è sucuramente efficace, ma presenta dei limiti. Non sempre i risultati raggiunti in terapia col bambino si estendono anche nei suoi ambiti di vita: famiglia, scuola, contesti relazionali e sportivi. Per questo motivo si rivela spesso utile trasferire anche in questi contesti le strategie che si sono dimostrate utili in ambito clinico. Qui entra in gioco il Parent Training attraverso "programmi strutturati" nei quali una parte del lavoro viene svolta dai genitori in casa, sotto la supervisione del terapeuta. Questi programmi prevedono che il terapeuta aiuti i genitori a svolgere "osservazioni sistematiche" (strutturate e specifiche) dei figli, per aiutarli ad individuare ed utilizzare strumenti di intervento più efficaci nella relazione con loro. 2. Quali sono i vantaggi del parent training? Il Parent Training mira a: migliorare la relazione e la comunicazione tra genitori e figli; aumentare la capacità di "analisi oggettiva" dei problemi educativi che possono insorgere; aumentare la consapevolezza dello "sviluppo psicologico" dei figli; utilizzare metodi educativi più efficaci. Obiettivo finale di un programma di Parent Training ben strutturato e gestito aiuta a rendere la vita familiare e i problemi educativi facilmente gestibili e non più fonte di problemi e di stress. Numerose ricerche hanno evidenziato l’importanza dello "stile genitoriale, delle abitudini familiari e delle interazioni genitore-figlio" sullo sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale del bambino. Per questo la famiglia costituisce una risorsa importante da cui attingere per il trattamento dei comportamenti disfunzionali dei bambini e per la promozione di comportamenti più funzionali. I comportamenti dei bambini spesso tendono ad essere interpretati erroneamente da parte dei genitori, per cui la reazione manifestata dai genitori potrebbe non essere quella più adatta e potrebbe attivare una catena di "comportamenti problema" sempre più crescente. Una maggiore "consapevolezza di queste dinamiche", ad opera della lettura fornita dal terapeuta, permette al genitore di effettuare un’interpretazione alternativa dei comportamenti e delle emozioni del bambino e di rispondere perciò in modo più efficace alle sue richieste. 3.Come è strutturato il programma di Parent Training e quando è utile? Il programma è suddiviso in due macroaree: "momento informativo" in cui si illustrano le caratteristiche del funzionamento cognitivo e comportamentale del bambino e si favorisce la conoscenza del disturbo che presenta; "momento formativo" che prevede sia la "definizione dei comportamenti problema" che la ricerca delle "strategie" utili a promuovere il cambiamento. Il Parent Training diventa fondamentale per tutti i problemi comportamentali in età evolutiva quali: il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD); il Disturbo Oppositivo-Provocatorio; il Disturbo della Condotta; il Disturbo dello spettro autistico; ecc. Risulta efficace anche in assenza di specifici disturbi, nell’insegnamento di "strategie da applicare nella quotidianità" in ogni fase critica della crescita e dello sviluppo emotivo dei figli. In questo modo il genitore si percepisce meno inadeguato e ciò riduce anche lo stress personale e familiare. 4. Due modelli di realizzazione.
Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi. 10/21/2020 La salute psicologica è un diritto!La professione dello psicologo, come citato dalla L 56/'89, è una professione intellettuale, come quella del medico, dell'avvocato, etc. Che cosa significa "Professioni intellettuali"? Sono così definite tutte quelle attività professionali in cui la prestazione presenta un carattere intellettuale di gran lunga superiore a quello materiale. Ovvero, il raggiungimento del risultato non è tangibile, come ad esempio quello dell'artigiano, e non è obbligatorio, ma il professionista è moralmente e deontologicamente obbligato a garantire il massimo impegno e ad utilizzare tutte le competenze tecniche e metodologie scientifiche che rientrano nel suo bagaglio formativo ed esperenziale al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi concordati in fase contrattuale col cliente. Nel caso dello psicologo si parla di attività di natura sanitaria, svolta da un professionista laureato e la cui professione è stata riconosciuta in seguito al superamento di un "esame di stato", debitamente iscritto ad albo professionale. Lo psicoterapeuta è uno psicologo o medico formatosi attraverso una Scuola di Specializzazione riconosciuta dal Ministero, e regolarmente iscritto al proprio ordine professionale, in grado quindi di offrire percorsi maggiormente strutturati ed in possesso di competenze tecniche e trasversali maggiori (come spiegato meglio nelle sottopagine del mio sito). Spesso ci si rivolge al professionista quando il disagio è insopportabile o quando le persone si sentono perse e senza speranza, occorrerebbe invece intervenire prima, per evitare una lunga e dolorosa sofferenza e per garantire il raggiungimento dell'equilibrio e del benessere in tempi brevi e veloci. Per questo si sta puntando sempre più al riconoscimento del "diritto alla salute psicologica" anche nel nostro paese, attraverso campagne di sensibilizzazione e un lavoro a tavolino tra Ordine Nazionale Psicologi e Governo. Analizziamo intanto meglio l'aggressività umana.
L'aggressività è sicuramente un istinto, esiste in ogni essere umano una forza cieca e irrazionale che lo spinge, in determinate circostanze specie quando c'è di mezzo la sopravvivenza, a manifestazioni di violenza e distruttività. Ma l'aggressività è anche un comportamento, esiste un temperamento con il quale si nasce e un carattere che si forma in virtù dell'ambiente circostante. Questo vuole dire che anche se una persona nasce con una predisposizione, è possibile che questa venga corretta durante la crescita in un ambiente sano ed educativo. Possiamo quindi definire l'aggressività come una “pulsione del carattere” e tale carattere è determinato socialmente e culturalmente. In alcuni casi l'aggressività è il risultato di aspetti patologici che sono osservabili sin dall'età evolutiva. Il DSM-5 raggruppa tra i disturbi dell'infanzia e dell'adolescenza i “disturbi dirompenti da discontrollo degli impulsi e della condotta”. Tra questi rientra ad esempio il disturbo oppositivo provocatorio. Si tratta di bambini con difficoltà a controllare le proprie emozioni e i propri comportamenti, specie l'aggressività. Questi bambini mettono in atto comportamenti in conflitto con le norme sociali e tendono a violare i diritti degli altri. Sono collerici, irritabili, estremamente polemici, provocatori e vendicativi, manifestano comportamenti ostili e di sfida, non rispettano le regole, manifestano esagerati e violenti scoppi d'ira di fronte ad obblighi e divieti. L'evoluzione di questo disturbo, se non trattato a livello psico-educativo porta con molta probabilità al disturbo della condotta, molto frequente nell'adolescenza. In questo caso l'aggressività diventa dirompente sfociando in “condotte aggressive” che provocano danni fisici a persone e animali, e “condotte non aggressive” che sfociano nel danneggiamento della proprietà. Un ulteriore evoluzione sfocia nel disturbo antisociale di personalità che prosegue fino all'età adulta. Esiste anche il disturbo esplosivo intermittente dove la persona è totalmente incapace di controllare gli impulsi aggressivi. Si tratta di “una rabbia cieca”, esplosioni rapide e impulsive dirompenti, sia verbali che fisiche, che possono essere rivolte verso oggetti o persone. E' chiaro che un mancato intervento favorisce il consolidarsi di modalità comportamentali che possono col tempo interferire con la vita sociale, scolastica e lavorativa, fino a portare alla perdita della libertà a causa di violazioni di leggi. Cosa si può fare per imparare a gestire la rabbia? Esistono varie tecniche d'intervento attraverso le quali, con l'aiuto di un terapeuta, è possibile lavorare sul riconoscimento e il controllo delle reazioni aggressive e dei vissuti che ne favoriscono l'insorgenza. Partendo dal presupposto che l'aggressività è sempre conseguenza di una “frustrazione” e che il vissuto e la reazione più immediata alle frustrazioni è la rabbia, è possibile imparare a riconoscere le proprie sensazioni e imparare a controllarle. Più la capacità di elaborare soluzioni alternative è sviluppata, minore è la probabilità di ricorrere a comportamenti aggressivi. Occorre perciò lavorare su una maggior consapevolezza delle proprie emozioni, delle ragioni che hanno portato la persona ad orientarsi verso uno stile di vita prevalentemente ricco di rabbia, risentimento e tendente all'evitamento sociale o all'attuazione di comportamenti antisociali, e delle conseguenze che ciò comporta. Si potrà poi lavorare sullo sviluppo di modi di pensare e comportamenti pro-sociali, si svilupperà un maggior interesse per gli altri, si imparerà a gestire in modo più positivo la frustrazione e a mettere in atto soluzioni opposte alla rabbia e risentimento, che invece sono distruttive in primis per la persona stessa oltre che verso gli altri. Il raggiungimento di tali obiettivi è favorito dall'utilizzo di tecniche come il “modelling” (dove il terapeuta funge da modello), il “rispecchiamento empatico” e “l'inversione di ruoli”. Si potranno così acquisire o sviluppare nuove capacità cognitive quali pensare e attuare soluzioni alternative non aggressive, valutare le conseguenze delle proprie azioni, controllo degli impulsi, pensare in modo strumentale, pianificare positivamente e consapevolmente, pensare in termini di causa/effetto, vedere i problemi senza rigidità e pregiudizio ma in modo empatico, riconoscere i sentimenti suscitati negli altri dalle nostre azioni. La risposta è si.
E' possibile attraverso un percorso terapeutico mirato a liberarsi da questi fastidiosi problemi che non solo condizionano la vita individuale della persona, ma interferiscono fortemente anche con quella sociale (lavoro, amici, affetti). Vorrei intanto spendere due parole per descrive in modo chiaro la distinzione tra Disturbo Ossessivo Compulsivo e Disturbo d'ansia dai Disturbi di Personalità. Il DOC (disturbo ossessivo compulsivo) è un disturbo invalidante che si riflette negativamente sulla qualità della vita della persona con conseguenze gravi sia a livello personale sia sociale. Ne è colpito circa l'1% della popolazione (DSM-5) e si manifesta con pensieri ossessivi persistenti e indesiderati, e/o compulsioni (comportamenti o azioni mentali ripetitive che la persona si sente obbligata a compiere in risposta all'ossessione). Tale disturbo può insorgere in età evolutiva o in adolescenza e può evolvere in alcuni disturbi di Personalità, tra cui il Disturbo di Personalità Ossessivo Compulsivo (DOCP) che ricopre l'intero arco di vita della persona. I tratti tipici di questa personalità sono: eccessiva preoccupazione per l'ordine, mancanza di flessibilità, cercare di avere e mantenere il controllo attraverso regole rigide auto imposte e imposte agli altri. Dal 2 al 7.9% della popolazione soffre di tale disturbo, con varie sfaccettature di tratti di personalità. Per quanto riguarda i Disturbi d'ansia comprendono invece Ansia da Separazione, Mutismo Selettivo e Fobia Sociale, Fobie Specifiche, Disturbo da Panico (caratterizzato da frequenti attacchi di panico), Disturbo da Ansia Generalizzato. In tutti questi Disturbi c'è un elemento comune, uno STIMOLO (interno o esterno) che genera una REAZIONE/RISPOSTA ansiogena, che a sua volta attiva un COMPORTAMENTO, in genere di evitamento. A seguito di ciò si sviluppano sentimenti di inferiorità, auto svalutazione, tristezza e vergogna e diventa difficile realizzare progetti di vita soddisfacenti. Le cause possono essere neuropsicologiche, cognitive (traumi, esperienze negative) o il risultato di condizionamenti sociali/educazione. Ciò che voglio qui mettere in evidenza è che è possibile intervenire per ridurre o estinguere le reazioni agli stimoli ansiogeni/fobici/compulsivi attraverso tecniche che consentono modifiche comportamentali e/o cognitive. Esistono svariate tecniche come “la Desensibilizzazione Sistematica o esposizione graduale”, “l'Addestramento Assertivo”, “il Modellamento” , “La ristrutturazione cognitiva”. Per i DOC “la Dilazione alla risposta”, “l'Arresto del pensiero fobico ossessivo”, solo per citarne alcuni. Il terapeuta in questo caso funge da trainer aiutando la persona, che è chiamata a partecipare attivamente nel lavoro che si va ad intraprendere, a superare il problema che ostacola la riuscita di una vita serena e tranquilla. Le nostre risposte alle esperienze che facciamo dipendono dal nostro modo di percepire, interpretare e dal valore che gli diamo, possiamo quindi allenarci a cambiare il nostro errato modo di sentire, pensare e di conseguenza agire. L’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza inutile, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso un lavoro attivo con i propri stati mentali. Ognuno di noi ha imparato col tempo ad affrontare lo stress attraverso determinate e personali strategie di fronteggiamento (in inglese: "coping").
Definizione tratta da Wikipedia: In psicologia il termine coping (termine inglese traducibile con "strategia di adattamento") indica l'insieme dei meccanismi psicologici adattativi messi in atto da un individuo per fronteggiare problemi emotivi ed interpersonali, allo scopo di gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto. Le strategie di coping sono "strategie adattive" (cioè costruttive), ovvero strategie volte a ridurre lo stress, al contrario, le strategie che tendono ad aumentare lo stress vengono definite "disadattive". Queste strategie, adattive o meno che siano, rappresentano la nostra tendenza generale ad affrontare lo stress in modo specifico. Cosa succede allora in situazioni di forte stress come quello che stiamo vivendo in questo momento di pandemia globale? Sono tante le preoccupazioni, la malattia, la riduzione o perdita del lavoro, le conseguenze economiche, la realtà che è cambiata per sempre, le preoccupazioni per il futuro dei nostri figli. Tutti questi pensieri attanagliano le persone in un momento in cui si deve fare i conti con l'auto isolamento e la perdita della libertà di poter fare quello che si vuole. Ogni giorno, la conta dei contagiati e delle vittime è elevata e questo porta inevitabilmente allo sconforto. La gente è entrata in paranoia, per cercare di prevenire il contagio non sa più quali pratiche sono eccessive e quali indispensabili, si chiede se sia esagerata o se stia sottovalutando il problema. Inoltre il terrorismo mediatico fa la sua parte, non c'è da meravigliarsi che ci si carichi di ansia. Aggiungiamo a ciò che il prolungarsi del periodo di quarantena sta cominciando a corrodere i nervi anche dei più resistenti. Questa situazione, la pandemia, è sicuramente un evento allarmante da non sottovalutare, ma non è la causa del fatto che molti di noi si sentono “come se stessero vivendo un incubo”. La situazione non è facile da gestire a livello emotivo, molte questioni possono farci sentire impotenti, è normale essere preoccupati per il contagio e le ricadute future, ma l’impotenza non deve essere trasformata in frustrazione e poi in rabbia. Proprio la rabbia è la nemica dell'essere umano, ci fa essere irrazionali, incivili, ci fa mettere in atto comportamenti di cui non sapevamo neanche di essere capaci. Tutta questa rabbia la riversiamo sugli altri, in primis i nostri cari, ci fa diventare sempre più egoisti e accusatori, si cerca il capro espiatorio. Quello che si deve modificare è il nostro modo di vivere e agire di fronte a questo cambiamento che spaventa, questa situazione non dovrebbe renderci isterici ma più vigili. Gli eventi esterni possono innescare reazioni funzionali o disfunzionali, in base al modo in cui riusciamo di fatto a riconoscere e regolare le nostre emozioni. Questo processo si chiama “tenuta psichica”. Alcune persone affrontano lo stress con calma e tranquillità, altre, invece, assumono un comportamento di massima attivazione che le porta ad investire tutte le energie in problemi che tanto non può cambiare. Ciò non fa che aumentare la frustrazione, lo stress e la rabbia. E' in questi momenti dunque che dobbiamo rafforzare le nostre capacità di tenuta, di coping, di resilienza. La resilienza, in psicologia, è definita come “la capacità di resistere, superare e prosperare anche nelle più profonde avversità”. Perché ciò avvenga bisogna avere fiducia nelle proprie risorse, negli altri, ma soprattutto nel futuro, anche quando gli eventi avversi non sono controllabili. Chi è resiliente riesce a spostare l’attenzione dalle preoccupazioni e dai comportamenti disfunzionali (rimuginare, allarmarsi, angosciarsi, ricercare colpevoli, accanirsi, polemizzare…) alla volontà di potenziare le proprie capacità di resistenza e adattamento (essere accomodanti e gentili, disposti verso l'altro, sapere di avere il controllo sul proprio destino, anche se esso ha inferto un colpo devastante, cadere ma rialzarsi, utilizzare quello che la situazione attuale mette a disposizione sfruttandola al meglio). Non posso uscire di casa, mi ingegno per trovare qualcosa che mi tenga comunque impegnato facendomi sentire più sollevato, ad esempio. Come si può allora aumentare l'abilità di resilienza?
Dobbiamo prenderci cura di noi stessi, lavorare sull'accettazione, sul rinforzo della propria autostima, sulle proprie risorse emotive e cognitive. Spesso sento dire dalle persone “ormai alla mia età non cambio” oppure “sono fatto così”, queste sono solo scuse per evitare di migliorarsi. La resilienza richiede un grosso sforzo, ma è l'unico modo per arrivare ad un risultato positivo. Assecondare e fomentare la crisi non migliorerà la situazione e non lo faranno neanche comportamenti aggressivi e lesionistici. Cit. dal film Matrix, il cucchiaio non esiste, piega la mente: “Non cercare di piegare il cucchiaio, è impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia: giungere alla verità! Il cucchiaio non esiste. E allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi ma sei tu stesso!” 3/24/2020 UN MESSAGGIO DI SPERANZA DA UNA GIOVANE.Questa bellissima riflessione di una mia paziente di 18 anni all'articolo de La Repubblica "la prima cosa bella" trasmette un messaggio di speranza che ritengo utile condividere. Non cediamo mai alla negatività e al pessimismo.
« Commento articolo da “La Repubblica”. di S.F. Nel mio piccolo ho sempre immaginato come sarebbe potuto essere vivere in prima persona un’epidemia, vista la mia passione per la cinematografia apocalittica e post-apocalittica, ma mai avrei pensato che quel giorno sarebbe arrivato cosi presto e che le mie aspettative potessero rivelarsi cosi errate. Sin dall’inizio della diffusione del coronavirus in Italia, da quando i casi erano meno di una decina, ho provato una profonda paura che mi ha portata a sconvolgere radicalmente il mio stile di vita quotidiano; prima è iniziato con il lavarsi sempre più spesso le mani, poi sono arrivati gli obblighi di distanza ed infine la reclusione autoinflitta. Il virus è entrato da un giorno all’altro nelle nostre vite, nelle nostre case e nei nostri pensieri mutando il modo di essere di ognuno di noi in senso radicale ma non immediato: quante volte ci capita ancora oggi, a quasi due settimane dall’inizio della quarantena, di vedere persone irresponsabili che passeggiano tranquillamente per la città ormai deserta? Fortunatamente è maggiore il numero di coloro che posseggono un minimo di buonsenso e che scelgono di stare a casa sia per amor proprio ma anche per il prossimo; queste piccole ma significative azioni sono ciò che mi sta strappando tanti piccoli sorrisi ogni giorno, quando guardando i social si vedono monumenti da tutto il mondo tinti con il tricolore, video di persone che cantano dal proprio terrazzo l’inno d’Italia, raccolte fondi per aiutare gli ospedali sovraffollati e i singoli aiuti che si offrono i vicini di casa per far passare il tempo. Solidarietà, sarà la parola con cui ricorderò questi mesi bui del 2020, non con “paura”, “virus” o “quarantena”; sarà confortante poter raccontare di come tutta l’Italia si sia stretta in un caloroso abbraccio, del patriottismo che ne è risultato e della gioia nel sapere che presto avremmo potuto rivedere i nostri cari. In un mondo così digitale si era perso il valore del contatto umano, di un abbraccio o di un bacio mentre adesso che ne siamo inevitabilmente privati ne sentiamo la mancanza; siamo così spinti ad aggrapparci ai bei ricordi, alle canzoni che ci rammentano di coloro che vorremo con noi in questo momento e al pensiero fisso che presto torneremo a stare insieme, più di prima, con più amore e consapevolezza. Non è più un “sto a casa per proteggere me stesso” ma un “sto a casa per proteggere gli altri” e penso sia la più bella risposta che si possa dare in un periodo così inusuale e, per certi versi, spaventoso. L’attesa è la parte peggiore della quarantena, non sai quanto ancora possa durare e non hai la possibilità di stare con chi vorresti davvero; però, oltre ad essere necessaria per contrastare la diffusione del virus, diventa anche un’opportunità di riflessione e un invito a riprendere tutte quelle attività interrotte per i vari impegni che obbligatoriamente sono saltati. Si cercano modi per distrarsi, far passare il tempo più in fretta e distanziarsi dai brutti pensieri che può comportare una reclusione forzata; ed è vero che nei momenti più duri le persone diventano più buone, lo vediamo ogni giorno e lo percepiamo quando ci sentiamo finalmente parte di quella società che per molto tempo non abbiamo mai compreso, quando con gioia partecipiamo ai flash mob dalle finestre di casa nostra e ogni qualvolta in cui ci facciamo prendere dalla malinconia in mancanza di qualcuno. La quarantena per me si sta rivelando una dura sfida, la voglia di uscire è tanta ma è più forte la consapevolezza che ogni mio sacrificio fatto oggi sarà ripagato dai miei amici nel momento in cui potremo tornare ad abbracciarci di nuovo nell’indomani.» |
Anna Rita Mancini
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicodinamico integrato con tecniche cognitive e tratte dalla Schema Therapy. Esperta in psicodiagnostica, orientamento e formazione. Dal 2007 mi occupo di supporto psicologico e psicoterapeutico per adulti e minori in età scolare, sia in materia di problematiche relazionali, affettive (di coppia, genitori-figli, sociali, ecc.), difficoltà di gestione dei conflitti personali e interpersonali, elaborazione di traumi legati a perdite affettive, educazione e genitorialità a 360 gradi, tema quest'ultimo sul quale ho tenuto corsi di formazione per le scuole pubbliche primarie e secondarie. Da diversi anni, inoltre, offro orientamento e supporto a coppie in fase di separazione e/o bisognose di un accompagnamento psicologico durante il periodo della difficile elaborazione decisionale. Archivi
Febbraio 2023
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