Da qualche giorno tutti nel nostro paese abbiamo sperimentato scene di panico collettivo nel momento in cui i casi di contagio da coronavirus hanno cominciato ad aumentare in maniera esponenziale. Quello che veniva inizialmente visto come un problema lontano, improvvisamente e senza preavviso è diventato un problema reale proprio nel nostro territorio cogliendoci del tutto impreparati, soprattutto dal punto di vista psicologico. Quello che fino a qualche giorno prima era solo una notizia, improvvisamente è diventato un pericolo, peggio ancora un "pericolo invisibile". Uno degli elementi principali che favorisce l'insorgere del "panico" e "dell'angoscia" è proprio l’invisibilità del pericolo: l'uomo ha sempre temuto ciò che non vede e che quindi non può controllare, ciò genera "difese profonde" la cui unica funzione è quella di metterci in sicurezza. La "paura" è di per se un’emozione utile, poiché ci avvisa quando siamo o potremmo essere in pericolo permettendo al nostro corpo di reagire al fine di evitarlo, si tratta di un "emozione adattiva" funzionale alla nostra sopravvivenza. Ma il "panico" rappresenta una paura esasperata e conduce verso comportamenti irrazionali e senza fine adattivo. Dunque, se la paura costituisce una reazione vantaggiosa per la preservazione dell’individuo, il panico, al contrario, non avendo una funzione né di tutela del singolo né di risposta ad un evento avverso, porta l'individuo ad attuare comportamenti deleteri, verso se stesso e verso il suo entourage. Il “Coronavirus” spaventa poiché sappiamo di non avere nessun controllo su di esso e questo genera un’alta percezione di rischio e un elevato livello di ansia e paura. In questo caso si tratta della "paura del contagio" la quale, come la psicologia e la sociologia spiegano bene, è più "contagiosa" e si diffonde ancora più velocemente del virus stesso. Si parla in questi casi di "psicosi o isterismi collettivi", ovvero di condivise paure risvegliatesi nelle persone che hanno condotto ad atteggiamenti irrazionali di massa. Si è verificata una distorta percezione dell’effettivo pericolo, alimentata da una ricerca esasperata di informazioni (televisione, internet, giornali, notizie che passano attraverso messaggi) che in realtà ha generato un "effetto moltiplicatore" della stessa, aumentando ed amplificando così la percezione della gravità. La sociologia spiega come individui inclini al medesimo atteggiamento e che si ritrovino nella medesima condizione tenderanno ad assumere il medesimo comportamento collettivo, anche qualora questo fosse irrazionale. Di questo argomento si è interessato anche l'Ordine degli Psicologi il quale scrive sul sito ufficiale: «Il problema oggettivo del “coronavirus” diventa problema soggettivo in relazione al vissuto psicologico, alle emozioni e paure che il tema suscita nelle diverse persone. La “percezione del rischio” può essere distorta e amplificata sino a portare a condizioni di panico che non solo sono quasi sempre del tutto ingiustificate ma aumentano il rischio perché portano a comportamenti meno razionali e ad un abbassamento delle difese, anche biologiche, dell’organismo. E’ bene quindi affidarsi ai dati e alla comunicazione diffuse dalle autorità pubbliche e alle indicazioni di cautela e prevenzione in essa contenute. Ad esempio: – Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus – Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/ Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate. Avere timori e paure è normale ma non ansia generalizzata, angoscia o panico, che non aiutano e sono controproducenti. Poiché le paure possono diventare panico è bene sapere come proteggersi con comportamenti adeguati, pensieri corretti ed emozioni fondate. Per questo è stato diffuso un vademecum.» VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI Il drop out in terapia si verifica quando il paziente abbandona le sedute terapeutiche prima che siano stati raggiunti gli obiettivi concordati nel percorso terapeutico.
Mentre la conclusione della terapia è il momento in cui il percorso viene portato a compimento, l'interruzione è una sospensione improvvisa e a volte definitiva che mette fine alla relazione tra terapeuta e paziente. Si tratta quindi di un “fallimento nella relazione” e come tutte le relazioni che si interrompono, ovvero falliscono, provoca i suoi effetti, a volte devastanti, in entrambe le parti coinvolte. In questi casi è sempre il paziente che decide di interrompere la terapia, per uno o più motivi, ma nonostante la decisione sia sua è sempre colui che soffre maggiormente, soprattutto perché mette fine alla terapia senza aver sciolto quei nodi che lo hanno indotto a cercare un aiuto psicologico. Perché allora può succedere che si decida di interrompere la terapia? Chiunque decida di intraprendere una psicoterapia, al di là delle motivazioni, ha dentro di sé due parti in conflitto, quella che cerca il cambiamento (quindi cerca di modificare qualcosa della propria vita che causa disagio) e quella che si difende da questo cambiamento. Questo fa si che nelle varie fasi della terapia emergano delle "resistenze" che svolgono funzioni di tipo difensivo. Spaventa uscire dalla “comfort zone” (la condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio), prendere decisioni importanti, uscire dallo status quo. Allora si tende ad opporsi allo svelamento dei reali problemi o si decide di seppellire nuovamente tutto quello che è emerso. Si rinuncia alla concreta volontà di risolvere i problemi. Proseguendo nel suo percorso terapeutico la persona infatti si confronta inevitabilmente con la realtà, uno dei compiti del terapeuta del resto è quello di fare da specchio e aiutare la persona a guardare la realtà in modo “non distorto”, come era abituata a fare prima del percorso. Allora può rendersi conto che il problema inizialmente portato al terapeuta sia in realtà una copertura e che il problema reale sia qualcosa che fino ad allora negava a se stesso. Il paziente comincia quindi a chiedersi quanto è in grado di sostenere tale realtà e quanto voglia affrontarla. Molte persone di fronte a questa scoperta decidono di interrompere la terapia, in questo modo decidono di "fuggire dalla realtà". Questa fuga ha dunque a che fare con la reazione personale ed emotiva a quello che la terapia sta portando nella sua vita. Tra la ricerca della verità e la sicurezza molti sceglieranno la sicurezza. Così, tra le varie motivazioni inconsce che portano all'interruzione della terapia, spesso dietro il drop out c’è la fatica emotiva che il paziente non è disposto ad accettare, la fatica del concreto cambiamento. Inconsapevolmente la persona sabota sé stessa negandosi questa opportunità, o perché non è pronta ad affrontarla o perché la sente troppo dolorosa o problematica. Realizza che si trova ad affrontare l’arrivo dei cambiamenti che la terapia porta e si rende conto che li porta davvero, allora si spaventa, anche se non riconosce di avere paura, e quindi si mette sulla difensiva. L’interruzione quindi diventa la difesa per eccellenza, perché riconoscere di avere paura porterebbe la persona a dover affrontare i suoi timori e vorrebbe dire che è giunto il momento di scegliere se mettere in atto o meno il cambiamento. |
Anna Rita Mancini
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicodinamico integrato con tecniche cognitive e tratte dalla Schema Therapy. Esperta in psicodiagnostica, orientamento e formazione. Dal 2007 mi occupo di supporto psicologico e psicoterapeutico per adulti e minori in età scolare, sia in materia di problematiche relazionali, affettive (di coppia, genitori-figli, sociali, ecc.), difficoltà di gestione dei conflitti personali e interpersonali, elaborazione di traumi legati a perdite affettive, educazione e genitorialità a 360 gradi, tema quest'ultimo sul quale ho tenuto corsi di formazione per le scuole pubbliche primarie e secondarie. Da diversi anni, inoltre, offro orientamento e supporto a coppie in fase di separazione e/o bisognose di un accompagnamento psicologico durante il periodo della difficile elaborazione decisionale. Archivi
Febbraio 2023
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