1.Il Disturbo Borderline di Personalità. Tale Disturbo è una "patologia psicologica" caratterizzata da una forte "instabilità affettiva ed emotiva", "incapacità di controllo degli impulsi", frequenti "difficoltà nelle relazioni" interpersonali e "un'immagine di sé distorta e negativa". L'individuo avverte la sofferenza, riconosce le proprie difficoltà, ma non riesce a controllarle o ritiene che non dipendono da lui. "L'impulsività" è comune nei Borderline, "dall'autolesionismo" alle varie forme di "dipendenze" (alcool, droghe, gioco d'azzardo, rapporti sessuali frequenti, casuali e non protetti, abbuffate alimentari, guida spericolata e ricerca del brivido, spendere oltre le proprie possibilità, shopping compulsivo, etc.). I pazienti con Disturbo Borderline di Personalità tendono inconsapevolmente a sabotare la propria vita e i propri successi, per esempio possono lasciare gli studi poco prima del diploma o della laurea, cambiano continuamente lavoro, tendono a rovinare ogni relazione, d'amore, d'amicizia, coi familiari e tra colleghi, e anche col terapeuta. Possono essere presenti "pensieri paranoici" e a volte sintomi di tipo psicotico (ad es. allucinazioni), in genere scatenati da forti stress o più spesso dalla paura dell'abbandono. Questi sintomi sono però temporanei e di solito non abbastanza gravi da essere considerati un disturbo a sè. Nei casi gravi si rileva una "forte compromissione del funzionamento sociale" unita a "condotte autolesive" e "comportamenti suicidari e parasuicidari". 2.Psicoterapia: trattamento indispensabile, ma difficile. Proprio perchè il paziente con Disturbo Borderline di Personalità tende a sentirsi abbandonato o trascurato - per esempio diventa furioso quando qualcuno importante per lui ha pochi minuti di ritardo o annulla un impegno, perchè è spaventato e pensa che questo abbandono significhi che "è stato cattivo" (pensiero irrazionale) - è frequente che si verifichi il "drop-out", ovvero abbandono della terapia. In genere non si tratta di un vero drop-out, ma più di un "tira e molla", così come avviene in tutte le sue relazioni. Si allontana e abbandona la relazione quando è arrabbiato, per poi tornare quando si sente solo e fragile. Il borderline teme l'abbandono, non vuole e non riesce a stare da solo, però il suo cambiare continuamente e drammaticamente l'idea che ha degli altri lo porta suo malgrado a far scappare tutti e a ritrovarsi da solo. Può idealizzare un potenziale caregiver o amante nelle prime fasi del rapporto, come anche il terapeuta, pretende di spendere molto tempo insieme a lui, diventando possessivo ed estremamente geloso, per poi improvvisamente sentire che la persona non si preoccupa abbastanza restandone così deluso e scappando dalla relazione. Proprio questo passaggio dall'idealizzazione alla svalutazione riflette il modo di pensare in "bianco e nero", "bene e male" tipico del borderline. 3.Sulla Schema Therapy. La Schema Therapy è stata sviluppata da Jeffrey Young che nello specifico affronta il trattamento Borderline di Personalità in una parte del testo professionale: Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko e Marjorie E. Weishaar (2007) Schema therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità, Erickson. Young ha sviluppato la Schema Therapy con l’obiettivo di superare i limiti della CBT tradizionale (terapia cognitivo comportamentale), integrando tecniche di diverse scuole ha ottenuto un modello terapeutico maggiormente efficace nel trattamento dei disturbi di personalità, tra cui quello Borderline. Il "punto centrale della Schema Therapy" è che ogni essere umano, fin dall’infanzia, ha dei "bisogni forndamentali" che devono essere soddisfatti, se questo non avviene la persona svilupperà una serie di "Schemi Maladattivi" e di "Mode Disfunzionali" che non le permetteranno di vivere una vita soddisfacente in piena aromia con se stesso e con gli altri. "L'efficacia del trattamento tramite Schema Therapy" deriva dal fatto che "integra elementi di terapia cognitiva comportamentale, della Gestalt, della psicoanalisi, della teoria dell’attaccamento, della psicoterapia costruttivista, della psicoterapia focalizzata sulle emozioni", in un unico modello. "Obiettivo terapeutico della Schema Therapy" è quello di "rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento dei suoi Schemi e Mode", al fine di aiutarlo a trovare "Strategie di Coping" più efficaci per soddisfare i suoi bisogni frustrati. Secondo Young sono proprio gli "Schemi Maladattivi" che si formano nell’infanzia, in seguito alle esperienze negative, all’origine dei "Disturbi di Personalità" o di altre patologie croniche. I "Mode" invece comprendono sia le "emozioni" che le "risposte di Coping", un Mode è dunque un insieme di "Schemi e relative risposte", adattive o maladattive, presenti nell'individuo. Per questo uno degli obiettivi del percorso terapeutico tramite Schema Terapy è "aiutare il paziente a passare da un mode disfunzionale ad uno più funzionale". 4.Quando un Mode è disfunzionale? Quando determinati Schemi o risposte di Coping emergono sotto forma di "emozioni negative" per l’individuo, o "evitamento" o "comportamenti autodistruttivi", allora si è in presenza di Mode disfunzionali. Secondo Young e colleghi nelle persone senza "Disturbi Psicologici" i vari Mode sono integrati in una definita e chiara "Identità Personale" e volontariamente regolati, mentre nei pazienti con "Disturbi di Personalità", in particolare nel "Disturbo Borderline di Personalità", si nota una "tendenza a passare da un Mode all’altro in modo rapido, improvviso e inconsapevole". In un momento sono vittime, poi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. "Manca l’integrazione di questi aspetti", la capacità di prendere le distanze dal Mode che li domina e la capacità di gestirne l’espressione. 5.Cosa prevede il trattamento secondo Schema Therapy? Il trattamento si divide in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”. Nella prima fase il terapeuta si focalizza nell'aiutare il paziente ad identificare gli "Schemi Maladattivi", cercandone le origini. In questo modo il paziente impara anche a familiarizzare con il "Modello degli Schemi" e a riconoscere i propri "Stili di Coping Maladattivi" che contribuiscono al mantenimento di questi Schemi. In questa fase il terapeuta si avvale di molteplici techiche: colloqui, somministrazione di questionari, compiti di automonitoraggio ed "esercizi immaginativi", questi ultimi aiutano il paziente a collegare le esperienze vissute nell'infanzia agli attuali problemi. Terminati questi passaggi, terapeuta e paziente programmano una terapia che includerà l’utilizzo di "strategie cognitive, esperienziali e comportamentali" e si fonderà, come molte terapie, sulla "relazione terapeutica". Alla luce di tutto questo si può riassumere che il trattamento prevede un "intervento trasformativo", sia a livello emotivo che cognitivo e comportamentale. In questo modo il disturbo si indebolisce e si attiva con intensità e frequenza minore. 6.Come funzionano le tre tecniche?
7.Sulla relazione terapeutica. Gli "Schemi", gli "Stili di Coping" e i "Mode" si attivano e si presentano anche nella relazione con il terapeuta. In terapia, infatti, il paziente interiorizza il terapeuta come un "Adulto Funzionale" che contrasta gli Schemi Maladattivi, aiutandolo a vivere in modo più soddisfacente. Due aspetti della "relazione terapeutica" sono particolarmente importanti secondo la Schema Therapy: "l’atteggiamento di confronto empatico" del terapeuta e "l’utilizzo del parziale reparenting".
Attraverso il "Reparenting" e gli "esercizi immaginativi", si crea in seduta una situazione di ritorno al passato che permette al paziente di "ritornare ad essere quel bambino" e rivivere le esperienze che hanno determinato la formazione degli Schemi, ma questa volta in un "contesto protetto e sicuro" dove finalmente può vedere soddisfatti i suoi bisogni, grazie all’intervento del terapeuta nella scena. 8.Il mondo interiore del paziente borderline letto dalla Schema Therapy. Nel Disturbo di Personalità Borderline sono presenti "5 modes predominanti" che interagiscono tra loro in modo distruttivo. Il mondo interiore del paziente si presenta come la scena di un teatro dove entrano in gioco forze della crudeltà, della rabbia, della sottomissione e della indifferenza. I cinque modes attivi sono: il "bambino abbandonato e maltrattato" (a cui sono correlate le intense emozioni negative del paziente borderline); il "bambino arrabbiato e impulsivo" (legato agli scoppi di rabbia del paziente e ai suoi comportamenti impusivi); il "protettore distaccato" (correlato a comportamenti di evitamento emotivo, come la dissociazione, l’abuso di sostanze o il ritiro sociale); il "genitore punitivo" (connesso ai sentimenti di auto-svalutazione e auto-punizione); e "l'adulto sano", quello che deve essere rafforzato in terapia. CONCLUSIONI. Obiettivi ed effetti della Schema Therapy. L'obiettivo principale della Schema Therapy è quello di "aiutare i pazienti a trovare modalità maggiormente adattive e non distruttive" per soddisfare i propri bisogni, rafforzando l'adulto sano grazie "all'interiorizzazione del modello accudente" fornito dal terapeuta. La Schema Therapy aiuta anche a "modificare i comportamenti ed il modo in cui le persone si relazionano" con le figure significative e la modalità con cui si cerca di raggiungere i propri obiettivi di vita. Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi. 1.Cos'è il Parent Training? Si tratta di un "intervento psicoterapeutico" di matrice cognitivo comportamentale che ha l’obiettivo di "coinvolgere i genitori nel programma riabilitativo e terapeutico intrapreso dai figli". Gli incontri di Parent Training sono condotti da uno psicologo-psicoterapeuta che, partendo da situazioni di vita quotidiana riferite dai genitori, fornisce "strumenti utili alla gestione dello stress e delle problematiche presentate". Nello specifico, questo intevento permette di lavorare sul bambino e sull'adolescente attraverso il "rapporto di consulenza e orientamento formativo con i genitori". Ovvero, sono i genitori che si rivolgono al terapeuta per un percorso "psicoeducativo", diventando il mezzo attraverso cui, con la guida del terapeuta, si arriva ad ottenere i cambiamenti nei comportamenti disfunzionali dei figli. L’approccio terapeutico con i minori per i "Disturbi dell’età evolutiva" è sucuramente efficace, ma presenta dei limiti. Non sempre i risultati raggiunti in terapia col bambino si estendono anche nei suoi ambiti di vita: famiglia, scuola, contesti relazionali e sportivi. Per questo motivo si rivela spesso utile trasferire anche in questi contesti le strategie che si sono dimostrate utili in ambito clinico. Qui entra in gioco il Parent Training attraverso "programmi strutturati" nei quali una parte del lavoro viene svolta dai genitori in casa, sotto la supervisione del terapeuta. Questi programmi prevedono che il terapeuta aiuti i genitori a svolgere "osservazioni sistematiche" (strutturate e specifiche) dei figli, per aiutarli ad individuare ed utilizzare strumenti di intervento più efficaci nella relazione con loro. 2. Quali sono i vantaggi del parent training? Il Parent Training mira a: migliorare la relazione e la comunicazione tra genitori e figli; aumentare la capacità di "analisi oggettiva" dei problemi educativi che possono insorgere; aumentare la consapevolezza dello "sviluppo psicologico" dei figli; utilizzare metodi educativi più efficaci. Obiettivo finale di un programma di Parent Training ben strutturato e gestito aiuta a rendere la vita familiare e i problemi educativi facilmente gestibili e non più fonte di problemi e di stress. Numerose ricerche hanno evidenziato l’importanza dello "stile genitoriale, delle abitudini familiari e delle interazioni genitore-figlio" sullo sviluppo cognitivo, emotivo e comportamentale del bambino. Per questo la famiglia costituisce una risorsa importante da cui attingere per il trattamento dei comportamenti disfunzionali dei bambini e per la promozione di comportamenti più funzionali. I comportamenti dei bambini spesso tendono ad essere interpretati erroneamente da parte dei genitori, per cui la reazione manifestata dai genitori potrebbe non essere quella più adatta e potrebbe attivare una catena di "comportamenti problema" sempre più crescente. Una maggiore "consapevolezza di queste dinamiche", ad opera della lettura fornita dal terapeuta, permette al genitore di effettuare un’interpretazione alternativa dei comportamenti e delle emozioni del bambino e di rispondere perciò in modo più efficace alle sue richieste. 3.Come è strutturato il programma di Parent Training e quando è utile? Il programma è suddiviso in due macroaree: "momento informativo" in cui si illustrano le caratteristiche del funzionamento cognitivo e comportamentale del bambino e si favorisce la conoscenza del disturbo che presenta; "momento formativo" che prevede sia la "definizione dei comportamenti problema" che la ricerca delle "strategie" utili a promuovere il cambiamento. Il Parent Training diventa fondamentale per tutti i problemi comportamentali in età evolutiva quali: il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD); il Disturbo Oppositivo-Provocatorio; il Disturbo della Condotta; il Disturbo dello spettro autistico; ecc. Risulta efficace anche in assenza di specifici disturbi, nell’insegnamento di "strategie da applicare nella quotidianità" in ogni fase critica della crescita e dello sviluppo emotivo dei figli. In questo modo il genitore si percepisce meno inadeguato e ciò riduce anche lo stress personale e familiare. 4. Due modelli di realizzazione.
Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi. La risposta è si.
E' possibile attraverso un percorso terapeutico mirato a liberarsi da questi fastidiosi problemi che non solo condizionano la vita individuale della persona, ma interferiscono fortemente anche con quella sociale (lavoro, amici, affetti). Vorrei intanto spendere due parole per descrive in modo chiaro la distinzione tra Disturbo Ossessivo Compulsivo e Disturbo d'ansia dai Disturbi di Personalità. Il DOC (disturbo ossessivo compulsivo) è un disturbo invalidante che si riflette negativamente sulla qualità della vita della persona con conseguenze gravi sia a livello personale sia sociale. Ne è colpito circa l'1% della popolazione (DSM-5) e si manifesta con pensieri ossessivi persistenti e indesiderati, e/o compulsioni (comportamenti o azioni mentali ripetitive che la persona si sente obbligata a compiere in risposta all'ossessione). Tale disturbo può insorgere in età evolutiva o in adolescenza e può evolvere in alcuni disturbi di Personalità, tra cui il Disturbo di Personalità Ossessivo Compulsivo (DOCP) che ricopre l'intero arco di vita della persona. I tratti tipici di questa personalità sono: eccessiva preoccupazione per l'ordine, mancanza di flessibilità, cercare di avere e mantenere il controllo attraverso regole rigide auto imposte e imposte agli altri. Dal 2 al 7.9% della popolazione soffre di tale disturbo, con varie sfaccettature di tratti di personalità. Per quanto riguarda i Disturbi d'ansia comprendono invece Ansia da Separazione, Mutismo Selettivo e Fobia Sociale, Fobie Specifiche, Disturbo da Panico (caratterizzato da frequenti attacchi di panico), Disturbo da Ansia Generalizzato. In tutti questi Disturbi c'è un elemento comune, uno STIMOLO (interno o esterno) che genera una REAZIONE/RISPOSTA ansiogena, che a sua volta attiva un COMPORTAMENTO, in genere di evitamento. A seguito di ciò si sviluppano sentimenti di inferiorità, auto svalutazione, tristezza e vergogna e diventa difficile realizzare progetti di vita soddisfacenti. Le cause possono essere neuropsicologiche, cognitive (traumi, esperienze negative) o il risultato di condizionamenti sociali/educazione. Ciò che voglio qui mettere in evidenza è che è possibile intervenire per ridurre o estinguere le reazioni agli stimoli ansiogeni/fobici/compulsivi attraverso tecniche che consentono modifiche comportamentali e/o cognitive. Esistono svariate tecniche come “la Desensibilizzazione Sistematica o esposizione graduale”, “l'Addestramento Assertivo”, “il Modellamento” , “La ristrutturazione cognitiva”. Per i DOC “la Dilazione alla risposta”, “l'Arresto del pensiero fobico ossessivo”, solo per citarne alcuni. Il terapeuta in questo caso funge da trainer aiutando la persona, che è chiamata a partecipare attivamente nel lavoro che si va ad intraprendere, a superare il problema che ostacola la riuscita di una vita serena e tranquilla. Le nostre risposte alle esperienze che facciamo dipendono dal nostro modo di percepire, interpretare e dal valore che gli diamo, possiamo quindi allenarci a cambiare il nostro errato modo di sentire, pensare e di conseguenza agire. L’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza inutile, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso un lavoro attivo con i propri stati mentali. Ognuno di noi ha imparato col tempo ad affrontare lo stress attraverso determinate e personali strategie di fronteggiamento (in inglese: "coping").
Definizione tratta da Wikipedia: In psicologia il termine coping (termine inglese traducibile con "strategia di adattamento") indica l'insieme dei meccanismi psicologici adattativi messi in atto da un individuo per fronteggiare problemi emotivi ed interpersonali, allo scopo di gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto. Le strategie di coping sono "strategie adattive" (cioè costruttive), ovvero strategie volte a ridurre lo stress, al contrario, le strategie che tendono ad aumentare lo stress vengono definite "disadattive". Queste strategie, adattive o meno che siano, rappresentano la nostra tendenza generale ad affrontare lo stress in modo specifico. Cosa succede allora in situazioni di forte stress come quello che stiamo vivendo in questo momento di pandemia globale? Sono tante le preoccupazioni, la malattia, la riduzione o perdita del lavoro, le conseguenze economiche, la realtà che è cambiata per sempre, le preoccupazioni per il futuro dei nostri figli. Tutti questi pensieri attanagliano le persone in un momento in cui si deve fare i conti con l'auto isolamento e la perdita della libertà di poter fare quello che si vuole. Ogni giorno, la conta dei contagiati e delle vittime è elevata e questo porta inevitabilmente allo sconforto. La gente è entrata in paranoia, per cercare di prevenire il contagio non sa più quali pratiche sono eccessive e quali indispensabili, si chiede se sia esagerata o se stia sottovalutando il problema. Inoltre il terrorismo mediatico fa la sua parte, non c'è da meravigliarsi che ci si carichi di ansia. Aggiungiamo a ciò che il prolungarsi del periodo di quarantena sta cominciando a corrodere i nervi anche dei più resistenti. Questa situazione, la pandemia, è sicuramente un evento allarmante da non sottovalutare, ma non è la causa del fatto che molti di noi si sentono “come se stessero vivendo un incubo”. La situazione non è facile da gestire a livello emotivo, molte questioni possono farci sentire impotenti, è normale essere preoccupati per il contagio e le ricadute future, ma l’impotenza non deve essere trasformata in frustrazione e poi in rabbia. Proprio la rabbia è la nemica dell'essere umano, ci fa essere irrazionali, incivili, ci fa mettere in atto comportamenti di cui non sapevamo neanche di essere capaci. Tutta questa rabbia la riversiamo sugli altri, in primis i nostri cari, ci fa diventare sempre più egoisti e accusatori, si cerca il capro espiatorio. Quello che si deve modificare è il nostro modo di vivere e agire di fronte a questo cambiamento che spaventa, questa situazione non dovrebbe renderci isterici ma più vigili. Gli eventi esterni possono innescare reazioni funzionali o disfunzionali, in base al modo in cui riusciamo di fatto a riconoscere e regolare le nostre emozioni. Questo processo si chiama “tenuta psichica”. Alcune persone affrontano lo stress con calma e tranquillità, altre, invece, assumono un comportamento di massima attivazione che le porta ad investire tutte le energie in problemi che tanto non può cambiare. Ciò non fa che aumentare la frustrazione, lo stress e la rabbia. E' in questi momenti dunque che dobbiamo rafforzare le nostre capacità di tenuta, di coping, di resilienza. La resilienza, in psicologia, è definita come “la capacità di resistere, superare e prosperare anche nelle più profonde avversità”. Perché ciò avvenga bisogna avere fiducia nelle proprie risorse, negli altri, ma soprattutto nel futuro, anche quando gli eventi avversi non sono controllabili. Chi è resiliente riesce a spostare l’attenzione dalle preoccupazioni e dai comportamenti disfunzionali (rimuginare, allarmarsi, angosciarsi, ricercare colpevoli, accanirsi, polemizzare…) alla volontà di potenziare le proprie capacità di resistenza e adattamento (essere accomodanti e gentili, disposti verso l'altro, sapere di avere il controllo sul proprio destino, anche se esso ha inferto un colpo devastante, cadere ma rialzarsi, utilizzare quello che la situazione attuale mette a disposizione sfruttandola al meglio). Non posso uscire di casa, mi ingegno per trovare qualcosa che mi tenga comunque impegnato facendomi sentire più sollevato, ad esempio. Come si può allora aumentare l'abilità di resilienza?
Dobbiamo prenderci cura di noi stessi, lavorare sull'accettazione, sul rinforzo della propria autostima, sulle proprie risorse emotive e cognitive. Spesso sento dire dalle persone “ormai alla mia età non cambio” oppure “sono fatto così”, queste sono solo scuse per evitare di migliorarsi. La resilienza richiede un grosso sforzo, ma è l'unico modo per arrivare ad un risultato positivo. Assecondare e fomentare la crisi non migliorerà la situazione e non lo faranno neanche comportamenti aggressivi e lesionistici. Cit. dal film Matrix, il cucchiaio non esiste, piega la mente: “Non cercare di piegare il cucchiaio, è impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia: giungere alla verità! Il cucchiaio non esiste. E allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi ma sei tu stesso!” 3/24/2020 UN MESSAGGIO DI SPERANZA DA UNA GIOVANE.Questa bellissima riflessione di una mia paziente di 18 anni all'articolo de La Repubblica "la prima cosa bella" trasmette un messaggio di speranza che ritengo utile condividere. Non cediamo mai alla negatività e al pessimismo.
« Commento articolo da “La Repubblica”. di S.F. Nel mio piccolo ho sempre immaginato come sarebbe potuto essere vivere in prima persona un’epidemia, vista la mia passione per la cinematografia apocalittica e post-apocalittica, ma mai avrei pensato che quel giorno sarebbe arrivato cosi presto e che le mie aspettative potessero rivelarsi cosi errate. Sin dall’inizio della diffusione del coronavirus in Italia, da quando i casi erano meno di una decina, ho provato una profonda paura che mi ha portata a sconvolgere radicalmente il mio stile di vita quotidiano; prima è iniziato con il lavarsi sempre più spesso le mani, poi sono arrivati gli obblighi di distanza ed infine la reclusione autoinflitta. Il virus è entrato da un giorno all’altro nelle nostre vite, nelle nostre case e nei nostri pensieri mutando il modo di essere di ognuno di noi in senso radicale ma non immediato: quante volte ci capita ancora oggi, a quasi due settimane dall’inizio della quarantena, di vedere persone irresponsabili che passeggiano tranquillamente per la città ormai deserta? Fortunatamente è maggiore il numero di coloro che posseggono un minimo di buonsenso e che scelgono di stare a casa sia per amor proprio ma anche per il prossimo; queste piccole ma significative azioni sono ciò che mi sta strappando tanti piccoli sorrisi ogni giorno, quando guardando i social si vedono monumenti da tutto il mondo tinti con il tricolore, video di persone che cantano dal proprio terrazzo l’inno d’Italia, raccolte fondi per aiutare gli ospedali sovraffollati e i singoli aiuti che si offrono i vicini di casa per far passare il tempo. Solidarietà, sarà la parola con cui ricorderò questi mesi bui del 2020, non con “paura”, “virus” o “quarantena”; sarà confortante poter raccontare di come tutta l’Italia si sia stretta in un caloroso abbraccio, del patriottismo che ne è risultato e della gioia nel sapere che presto avremmo potuto rivedere i nostri cari. In un mondo così digitale si era perso il valore del contatto umano, di un abbraccio o di un bacio mentre adesso che ne siamo inevitabilmente privati ne sentiamo la mancanza; siamo così spinti ad aggrapparci ai bei ricordi, alle canzoni che ci rammentano di coloro che vorremo con noi in questo momento e al pensiero fisso che presto torneremo a stare insieme, più di prima, con più amore e consapevolezza. Non è più un “sto a casa per proteggere me stesso” ma un “sto a casa per proteggere gli altri” e penso sia la più bella risposta che si possa dare in un periodo così inusuale e, per certi versi, spaventoso. L’attesa è la parte peggiore della quarantena, non sai quanto ancora possa durare e non hai la possibilità di stare con chi vorresti davvero; però, oltre ad essere necessaria per contrastare la diffusione del virus, diventa anche un’opportunità di riflessione e un invito a riprendere tutte quelle attività interrotte per i vari impegni che obbligatoriamente sono saltati. Si cercano modi per distrarsi, far passare il tempo più in fretta e distanziarsi dai brutti pensieri che può comportare una reclusione forzata; ed è vero che nei momenti più duri le persone diventano più buone, lo vediamo ogni giorno e lo percepiamo quando ci sentiamo finalmente parte di quella società che per molto tempo non abbiamo mai compreso, quando con gioia partecipiamo ai flash mob dalle finestre di casa nostra e ogni qualvolta in cui ci facciamo prendere dalla malinconia in mancanza di qualcuno. La quarantena per me si sta rivelando una dura sfida, la voglia di uscire è tanta ma è più forte la consapevolezza che ogni mio sacrificio fatto oggi sarà ripagato dai miei amici nel momento in cui potremo tornare ad abbracciarci di nuovo nell’indomani.» Questo periodo di quarantena da Covid non è e non deve essere visto come "tempo sprecato" o "improduttivo".
E' possibile vivere questo periodo di clausura investendo al meglio il tempo, ad esempio ascoltando noi stessi, riscoprendo cosa è veramente importante, riscoprendo le relazioni con i nostri cari. Questa situazione ha portato anche del bene all'umanità, abbiamo momentaneamente abbandonato una vita frenetica che puntava a massimizzare il profitto a discapito di altre cose in realtà più importanti. Molti di noi puntavano alla massima efficienza come persone (sul lavoro, a scuola, nello sport), le priorità della vita erano altre e spesso ci si dimenticava di noi stessi e di quello che realmente volevamo. Adesso, invece, siamo costretti a volgere lo sguardo verso ciò che è essenziale e veramente importante. Certo non si può negare che le emozioni che accompagnano queste giornate sono di ansia e di paura, ed è umano e normale che sia così. Prima di questa situazione avevamo la nostra vita, coi suoi problemi certo, ma comunque sotto controllo. Avevamo progetti di vita, programmi, propositi e improvvisamente tutto è stato stravolto, ma soprattutto abbiamo perso "l'illusione del controllo" sulla nostra vita. Va bene avere paura, va bene essere preoccupati, è naturale, questa situazione provoca stress ed è un peso emotivo sulle menti di tutti noi. Non è sano, invece, lasciarsi sopraffare da questi carichi emotivi. Molte persone soffrono di insonnia, pressione alta, difficoltà a concentrarsi, a provare motivazioni, ansia e depressione situazionale. Cerchiamo allora di seguire buone pratiche di alleggerimento del carico emotivo legato a questa situazione. Cosa non dobbiamo fare? Non sovraesporsi al clamore mediatico (evitare di fare ricerche compulsive su contagi, vaccini, evitare di seguire le notizie sui social, non fare abbuffate di notizie); non seguire compulsivamente quotidianamente i numeri di infetti e morti per Covid; non condividere informazioni non verificate alla fonte e comunque non condividere link allarmanti; non contribuire alla diffusione dello stress e del panico. Cosa dobbiamo fare? Informarsi solo mediante i canali ufficiali o testate autorevoli e limitatamente nel tempo; condividere link positivi e di speranza; aiutare a diffondere la calma; guardare canali che non trasmettano in continuazione notizie; ascoltare musica energizzante e positiva; parlare di altro con le persone evitando l'argomento Covid (che già impregna abbondantemente la nostra quotidianità); essere creativi (rispolverare giochi da tavolo, leggere libri, riprendere in mano strumenti musicali o di disegno/pittura, seguire ricette culinarie, ordinare la cena a domicilio e apparecchiare la tavola come fossi al ristorante o in un giorno di festa); cerca di tenere alto il tuo spirito e quello della tua famiglia. Se lavori da casa lavati e vestiti come se stessi andando a lavoro, lo stesso per i tuoi figli, vestili come se stessero andando a scuola. Non passare troppo tempo sul divano o a letto e cerca di fare attività fisica e preferibilmente anche un po di yoga, fisico e meditativo (è possibile fare molti esercizi anche a casa, esistono tanti video tutorial su YouTube). Tentare a tutti i costi di sopprimere le preoccupazioni o sottovalutare il problema è sbagliato, ma lo è anche farsi sopraffare da esso. Come sempre accade, la giusta via è nel mezzo. Bisogna essere vigili e consapevoli in modo lucido e razionale. Come gestire le emozioni e l'ansia?
IL SEGRETO È MANTENERE SEMPRE UN PENSIERO POSITIVO, CREATIVO E PROPOSITIVO. 3/10/2020 Bellissima riflessione dello psicologo Morelli che condivido pienamente. Invito tutti alla lettura.“Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte. Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare... In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l'economia collassa, ma l'inquinamento scende in maniera considerevole. L'aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira... In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class. In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all'altro, arriva lo stop. Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro. Sappiamo ancora cosa farcene? In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia. In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel "non-spazio" del virtuale, del social network, dandoci l'illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto. Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato? In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l'unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunita, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro. Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci. Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo." (Cit. F. MORELLI) Da qualche giorno tutti nel nostro paese abbiamo sperimentato scene di panico collettivo nel momento in cui i casi di contagio da coronavirus hanno cominciato ad aumentare in maniera esponenziale. Quello che veniva inizialmente visto come un problema lontano, improvvisamente e senza preavviso è diventato un problema reale proprio nel nostro territorio cogliendoci del tutto impreparati, soprattutto dal punto di vista psicologico. Quello che fino a qualche giorno prima era solo una notizia, improvvisamente è diventato un pericolo, peggio ancora un "pericolo invisibile". Uno degli elementi principali che favorisce l'insorgere del "panico" e "dell'angoscia" è proprio l’invisibilità del pericolo: l'uomo ha sempre temuto ciò che non vede e che quindi non può controllare, ciò genera "difese profonde" la cui unica funzione è quella di metterci in sicurezza. La "paura" è di per se un’emozione utile, poiché ci avvisa quando siamo o potremmo essere in pericolo permettendo al nostro corpo di reagire al fine di evitarlo, si tratta di un "emozione adattiva" funzionale alla nostra sopravvivenza. Ma il "panico" rappresenta una paura esasperata e conduce verso comportamenti irrazionali e senza fine adattivo. Dunque, se la paura costituisce una reazione vantaggiosa per la preservazione dell’individuo, il panico, al contrario, non avendo una funzione né di tutela del singolo né di risposta ad un evento avverso, porta l'individuo ad attuare comportamenti deleteri, verso se stesso e verso il suo entourage. Il “Coronavirus” spaventa poiché sappiamo di non avere nessun controllo su di esso e questo genera un’alta percezione di rischio e un elevato livello di ansia e paura. In questo caso si tratta della "paura del contagio" la quale, come la psicologia e la sociologia spiegano bene, è più "contagiosa" e si diffonde ancora più velocemente del virus stesso. Si parla in questi casi di "psicosi o isterismi collettivi", ovvero di condivise paure risvegliatesi nelle persone che hanno condotto ad atteggiamenti irrazionali di massa. Si è verificata una distorta percezione dell’effettivo pericolo, alimentata da una ricerca esasperata di informazioni (televisione, internet, giornali, notizie che passano attraverso messaggi) che in realtà ha generato un "effetto moltiplicatore" della stessa, aumentando ed amplificando così la percezione della gravità. La sociologia spiega come individui inclini al medesimo atteggiamento e che si ritrovino nella medesima condizione tenderanno ad assumere il medesimo comportamento collettivo, anche qualora questo fosse irrazionale. Di questo argomento si è interessato anche l'Ordine degli Psicologi il quale scrive sul sito ufficiale: «Il problema oggettivo del “coronavirus” diventa problema soggettivo in relazione al vissuto psicologico, alle emozioni e paure che il tema suscita nelle diverse persone. La “percezione del rischio” può essere distorta e amplificata sino a portare a condizioni di panico che non solo sono quasi sempre del tutto ingiustificate ma aumentano il rischio perché portano a comportamenti meno razionali e ad un abbassamento delle difese, anche biologiche, dell’organismo. E’ bene quindi affidarsi ai dati e alla comunicazione diffuse dalle autorità pubbliche e alle indicazioni di cautela e prevenzione in essa contenute. Ad esempio: – Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus – Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/ Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate. Avere timori e paure è normale ma non ansia generalizzata, angoscia o panico, che non aiutano e sono controproducenti. Poiché le paure possono diventare panico è bene sapere come proteggersi con comportamenti adeguati, pensieri corretti ed emozioni fondate. Per questo è stato diffuso un vademecum.» VADEMECUM PSICOLOGICO CORONAVIRUS PER I CITTADINI Il drop out in terapia si verifica quando il paziente abbandona le sedute terapeutiche prima che siano stati raggiunti gli obiettivi concordati nel percorso terapeutico.
Mentre la conclusione della terapia è il momento in cui il percorso viene portato a compimento, l'interruzione è una sospensione improvvisa e a volte definitiva che mette fine alla relazione tra terapeuta e paziente. Si tratta quindi di un “fallimento nella relazione” e come tutte le relazioni che si interrompono, ovvero falliscono, provoca i suoi effetti, a volte devastanti, in entrambe le parti coinvolte. In questi casi è sempre il paziente che decide di interrompere la terapia, per uno o più motivi, ma nonostante la decisione sia sua è sempre colui che soffre maggiormente, soprattutto perché mette fine alla terapia senza aver sciolto quei nodi che lo hanno indotto a cercare un aiuto psicologico. Perché allora può succedere che si decida di interrompere la terapia? Chiunque decida di intraprendere una psicoterapia, al di là delle motivazioni, ha dentro di sé due parti in conflitto, quella che cerca il cambiamento (quindi cerca di modificare qualcosa della propria vita che causa disagio) e quella che si difende da questo cambiamento. Questo fa si che nelle varie fasi della terapia emergano delle "resistenze" che svolgono funzioni di tipo difensivo. Spaventa uscire dalla “comfort zone” (la condizione mentale in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio), prendere decisioni importanti, uscire dallo status quo. Allora si tende ad opporsi allo svelamento dei reali problemi o si decide di seppellire nuovamente tutto quello che è emerso. Si rinuncia alla concreta volontà di risolvere i problemi. Proseguendo nel suo percorso terapeutico la persona infatti si confronta inevitabilmente con la realtà, uno dei compiti del terapeuta del resto è quello di fare da specchio e aiutare la persona a guardare la realtà in modo “non distorto”, come era abituata a fare prima del percorso. Allora può rendersi conto che il problema inizialmente portato al terapeuta sia in realtà una copertura e che il problema reale sia qualcosa che fino ad allora negava a se stesso. Il paziente comincia quindi a chiedersi quanto è in grado di sostenere tale realtà e quanto voglia affrontarla. Molte persone di fronte a questa scoperta decidono di interrompere la terapia, in questo modo decidono di "fuggire dalla realtà". Questa fuga ha dunque a che fare con la reazione personale ed emotiva a quello che la terapia sta portando nella sua vita. Tra la ricerca della verità e la sicurezza molti sceglieranno la sicurezza. Così, tra le varie motivazioni inconsce che portano all'interruzione della terapia, spesso dietro il drop out c’è la fatica emotiva che il paziente non è disposto ad accettare, la fatica del concreto cambiamento. Inconsapevolmente la persona sabota sé stessa negandosi questa opportunità, o perché non è pronta ad affrontarla o perché la sente troppo dolorosa o problematica. Realizza che si trova ad affrontare l’arrivo dei cambiamenti che la terapia porta e si rende conto che li porta davvero, allora si spaventa, anche se non riconosce di avere paura, e quindi si mette sulla difensiva. L’interruzione quindi diventa la difesa per eccellenza, perché riconoscere di avere paura porterebbe la persona a dover affrontare i suoi timori e vorrebbe dire che è giunto il momento di scegliere se mettere in atto o meno il cambiamento. |
Anna Rita Mancini
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicodinamico integrato con tecniche cognitive e tratte dalla Schema Therapy. Esperta in psicodiagnostica, orientamento e formazione. Dal 2007 mi occupo di supporto psicologico e psicoterapeutico per adulti e minori in età scolare, sia in materia di problematiche relazionali, affettive (di coppia, genitori-figli, sociali, ecc.), difficoltà di gestione dei conflitti personali e interpersonali, elaborazione di traumi legati a perdite affettive, educazione e genitorialità a 360 gradi, tema quest'ultimo sul quale ho tenuto corsi di formazione per le scuole pubbliche primarie e secondarie. Da diversi anni, inoltre, offro orientamento e supporto a coppie in fase di separazione e/o bisognose di un accompagnamento psicologico durante il periodo della difficile elaborazione decisionale. Archivi
Febbraio 2023
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