Significato Coming Out: L'espressione ormai universalmente nota "coming out" viene usata per indicare la decisione di dichiarare apertamente e pubblicamente il proprio "orientamento sessuale" o la propria "identità di genere" (il riconoscersi come persona nell'altro sesso, opposto a quello di appartenenza fisica ed anatomica, ovvero l'identità di genere psichica non corrispondente a quella fisica). In questo articolo mi voglio soffermare solo sul Coming Out degli adolescenti relativamente al loro orientamento sessuale, diverso da quello socialmente e culturalmente riconosciuto a livello universale e accettato, ovvero l'eterosessualità. Premetto che ci sono vari orientamenti sessuali diversi da quello etero, ma ne scriverò a parte. Dalla consapevolezza alla dichiarazione. Nella nostra società, in passato come oggi, l'eterosessualità (attrazione tra sessi opposti) viene considerata "normale" mentre "l'omosessualità", intesa come "inclinazione erotica verso soggetti del proprio sesso", è considerata "diversità". Per questo, come viene spiegato bene nel film "love Simon", è difficile per una persona, soprattutto se adolescente, riconoscere prima di tutto con se stessa "coming out interiore" e poi dichiarare pubblicamente, "fare coming out", la propria omosessualità. La persona vive questo processo con una forte emotività e un forte stress, in parte perchè si trova a dover mettere in discussione se stessa, ma soprattutto perché la nostra società tende a contrastare ed etichettare in modo negativo tutto ciò che non rientra nei canoni socialmente condivisi, come l'omossesualità. Una volta che la persona ha preso atto dell'impossibilità di cambiare il proprio orientamento sessuale, ovvero ha passato la fase dell'accettazione "coming out interiore", si trova nella difficile posizione di dove decidere se dichiararsi o meno alla società "fare coming out". Trama film. "Tuo, Simon" (titolo originale "Love, Simon") è un film del 2018 distribuito da 20th Century Fox. Il film è l'adattamento cinematografico del romanzo "Non so chi sei, ma io sono qui" di Becky Albertalli distribuito in Italia da Mondadori. Il protagonista, un ragazzo di 17 anni, Simon, vive con la sua famiglia e frequenta l'ultimo anno del liceo. Trascorre il suo tempo libero con 3 cari amici a cui però non ha rivelato l'aver realizzato di essere gay. Simon conosce on-line un misterioso ragazzo gay di cui si innamora e con cui comincia una corrispondenza, cercando di capire chi è realmente dato che il ragazzo frequenta i suoi stessi ambienti e la sua scuola. Un giorno però Simon utilizza il PC della classe per scrivere la sua e-mail allo sconosciuto, ma chiude frettolosamente il PC e se ne va. Un suo compagno di classe usa il computer dopo di lui e legge la mail di Simon, di cui fa degli screenshot che utilizza per ricattarlo. All'inizio Simon cede ai ricatti, ma poi, data la pressione psicologica subita, decide di fare coming out con la sua migliore amica, per nulla sorpresa della rivelazione. Alla fine il ricattatore renderà pubblica l'omossesualità di Simon il quale si troverà abbandonato dai suoi amici che sono in realtà arrabbiati con lui per non essersi confidato. Successivamente Simon ammette di essere gay anche con i suoi genitori i quali, soprattutto il padre, rimangono colpiti. A scuola Simon diventa il bersaglio di derisioni e atti di bullismo da parte dei compagni, sino a quando deciderà di scusarsi con gli amici per il suo comportamento e farà pubblicamente acting out. Il vissuto emotivo dei gay. Come risaputo l’adolescenza è il momento in cui il desiderio sessuale e l’attrazione emotiva si fanno più intensi. Ma se per un eterosessuale questo processo è vissuto come normale, come fa vedere il film, per l’adolescente gay il desiderio, tipico dell'adolescenza, di esporsi e dichiararsi viene vissuto in maniera ambivalente, poichè l’inibizione data dal contesto socioculturale impone sentimenti di vergogna e spinge a tenere il segreto e vivere nella vergogna. Così, oltre ai cambiamenti fisici e psicologici tipici di questa difficile età, chi generalmente è attratto dallo stesso sesso di appartenenza sperimenta amplificati sentimenti di diversità, i quali hanno origine a causa della cultura di appartenenza che è fortemente condizionante. Consigli per i genitori. Cosa bisogna dunque fare e come ci si dovrebbe comportare quando un figlio/a adolescente dichiara di essere gay? Prima di tutto bisogna essere il più empatici possibile, mettersi nei loro panni, cercare di capire le difficoltà cui stanno andando incontro, le difficoltà che incontreranno coi i loro pari e il contesto sociale stigmatizzante. Non bisogna considerare una tragedia la dichiarazione, perchè la paura di non essere accettati per quello che sono, di deludere i genitori e la famiglia, di essere sbagliati, è l'emozione più difficile per loro da gestire e hanno bisogno del supporto almeno della famiglia. Occorre sottolineare e far sentire ai figli che li si ama indipendentemente dal loro orientamento o identità sessuale, in fondo rimangono gli stessi figli che si è amato sino ad allora, come mostrato anche nel film "love,Simon". È importante non fare distinzioni tra fratelli/sorelle e stabilire regole valide per tutti i propri figli. Ad esempio, se la regola della casa è quella di permettere ai figli etero di ospitare per la notte i fidanzati, bisogna applicare la stessa regola ai figli gay. Oppure, se si permette ai figli etero di portare i fidanzati alle feste di famiglia, occorre dare lo stesso diritto e sostegno ai figli gay. Bisogna ulteriormente proteggere i propri figli dagli stigmi sociali. Sebbene ci sia più tolleranza oggi viviamo ancora in un mondo in cui i giovani LGBT(acronimo italiano usato sin dagli anni 90 per indicare: Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender) affrontano molte minacce, come mostrato anche nel film. Per questo motivo bisogna assicurarsi che i propri figli siano al sicuro nei loro vari ambiti di vita: scuola, sport e interessi. L'aiuto psicologico. Se è utile per i figli omosessuali superare eventuali difficoltà legate all'omosessualità, li dobbiamo orientare verso un esperto terapeuta che possa aiutarli. Se invece è utile per i genitori lavorare per accettare la dichiarazione del figlio, esistono gruppi di auto-aiuto o di condivisione delle problematiche, o può essere utile per loro fare un percorso di sostegno psicologico. Come terapeuta negli anni mi sono trovata a gestire con gli adolesenti sia la fase di dichiarazione, incoraggiamento all'acting out, sia la fase di supporto psicologico di adolescenti, maschi e femmine, che hanno sperimentato il loro orientamento omosessuale. I problemi più ricorrenti che questi ragazzi hanno spermentato dopo "l'acting out" in famiglia sono stati: non accettazione da parte dei genitori del loro orientamento sessuale; sentimenti di vergogna stimolati dai familiari; cercare di far cambiare idea ai figli, etc. Spesso venivano paragonati in modo negativo rispetto ai loro fratelli e sorelle, lamentavano di veder svanire il sogno di diventare nonni, specie con i figli maschi, o in generale di non poter vedere soddisfatte le loro aspettative, ponendo in questo modo un ulteriore fardello sulle spalle del figlio. Altri genitori non permettevano ai fidanzati di restare a dormire a casa loro, neanche in un altro letto o un'altra camera. Chiedevano ai figli di non farsi vedere in pubblico in atteggiamenti romantici per il senso di vergogna provato. Conclusione. Per questi e altri motivi è importante che il genitore sia alleato e non un ulteriore problema per il figlio che già deve elaborare con una crisi ancora più forte la sua adolescenza e sessualità. Ognuno di noi ha imparato col tempo ad affrontare lo stress attraverso determinate e personali strategie di fronteggiamento (in inglese: "coping").
Definizione tratta da Wikipedia: In psicologia il termine coping (termine inglese traducibile con "strategia di adattamento") indica l'insieme dei meccanismi psicologici adattativi messi in atto da un individuo per fronteggiare problemi emotivi ed interpersonali, allo scopo di gestire, ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto. Le strategie di coping sono "strategie adattive" (cioè costruttive), ovvero strategie volte a ridurre lo stress, al contrario, le strategie che tendono ad aumentare lo stress vengono definite "disadattive". Queste strategie, adattive o meno che siano, rappresentano la nostra tendenza generale ad affrontare lo stress in modo specifico. Cosa succede allora in situazioni di forte stress come quello che stiamo vivendo in questo momento di pandemia globale? Sono tante le preoccupazioni, la malattia, la riduzione o perdita del lavoro, le conseguenze economiche, la realtà che è cambiata per sempre, le preoccupazioni per il futuro dei nostri figli. Tutti questi pensieri attanagliano le persone in un momento in cui si deve fare i conti con l'auto isolamento e la perdita della libertà di poter fare quello che si vuole. Ogni giorno, la conta dei contagiati e delle vittime è elevata e questo porta inevitabilmente allo sconforto. La gente è entrata in paranoia, per cercare di prevenire il contagio non sa più quali pratiche sono eccessive e quali indispensabili, si chiede se sia esagerata o se stia sottovalutando il problema. Inoltre il terrorismo mediatico fa la sua parte, non c'è da meravigliarsi che ci si carichi di ansia. Aggiungiamo a ciò che il prolungarsi del periodo di quarantena sta cominciando a corrodere i nervi anche dei più resistenti. Questa situazione, la pandemia, è sicuramente un evento allarmante da non sottovalutare, ma non è la causa del fatto che molti di noi si sentono “come se stessero vivendo un incubo”. La situazione non è facile da gestire a livello emotivo, molte questioni possono farci sentire impotenti, è normale essere preoccupati per il contagio e le ricadute future, ma l’impotenza non deve essere trasformata in frustrazione e poi in rabbia. Proprio la rabbia è la nemica dell'essere umano, ci fa essere irrazionali, incivili, ci fa mettere in atto comportamenti di cui non sapevamo neanche di essere capaci. Tutta questa rabbia la riversiamo sugli altri, in primis i nostri cari, ci fa diventare sempre più egoisti e accusatori, si cerca il capro espiatorio. Quello che si deve modificare è il nostro modo di vivere e agire di fronte a questo cambiamento che spaventa, questa situazione non dovrebbe renderci isterici ma più vigili. Gli eventi esterni possono innescare reazioni funzionali o disfunzionali, in base al modo in cui riusciamo di fatto a riconoscere e regolare le nostre emozioni. Questo processo si chiama “tenuta psichica”. Alcune persone affrontano lo stress con calma e tranquillità, altre, invece, assumono un comportamento di massima attivazione che le porta ad investire tutte le energie in problemi che tanto non può cambiare. Ciò non fa che aumentare la frustrazione, lo stress e la rabbia. E' in questi momenti dunque che dobbiamo rafforzare le nostre capacità di tenuta, di coping, di resilienza. La resilienza, in psicologia, è definita come “la capacità di resistere, superare e prosperare anche nelle più profonde avversità”. Perché ciò avvenga bisogna avere fiducia nelle proprie risorse, negli altri, ma soprattutto nel futuro, anche quando gli eventi avversi non sono controllabili. Chi è resiliente riesce a spostare l’attenzione dalle preoccupazioni e dai comportamenti disfunzionali (rimuginare, allarmarsi, angosciarsi, ricercare colpevoli, accanirsi, polemizzare…) alla volontà di potenziare le proprie capacità di resistenza e adattamento (essere accomodanti e gentili, disposti verso l'altro, sapere di avere il controllo sul proprio destino, anche se esso ha inferto un colpo devastante, cadere ma rialzarsi, utilizzare quello che la situazione attuale mette a disposizione sfruttandola al meglio). Non posso uscire di casa, mi ingegno per trovare qualcosa che mi tenga comunque impegnato facendomi sentire più sollevato, ad esempio. Come si può allora aumentare l'abilità di resilienza?
Dobbiamo prenderci cura di noi stessi, lavorare sull'accettazione, sul rinforzo della propria autostima, sulle proprie risorse emotive e cognitive. Spesso sento dire dalle persone “ormai alla mia età non cambio” oppure “sono fatto così”, queste sono solo scuse per evitare di migliorarsi. La resilienza richiede un grosso sforzo, ma è l'unico modo per arrivare ad un risultato positivo. Assecondare e fomentare la crisi non migliorerà la situazione e non lo faranno neanche comportamenti aggressivi e lesionistici. Cit. dal film Matrix, il cucchiaio non esiste, piega la mente: “Non cercare di piegare il cucchiaio, è impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia: giungere alla verità! Il cucchiaio non esiste. E allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi ma sei tu stesso!” Questo periodo di quarantena da Covid non è e non deve essere visto come "tempo sprecato" o "improduttivo".
E' possibile vivere questo periodo di clausura investendo al meglio il tempo, ad esempio ascoltando noi stessi, riscoprendo cosa è veramente importante, riscoprendo le relazioni con i nostri cari. Questa situazione ha portato anche del bene all'umanità, abbiamo momentaneamente abbandonato una vita frenetica che puntava a massimizzare il profitto a discapito di altre cose in realtà più importanti. Molti di noi puntavano alla massima efficienza come persone (sul lavoro, a scuola, nello sport), le priorità della vita erano altre e spesso ci si dimenticava di noi stessi e di quello che realmente volevamo. Adesso, invece, siamo costretti a volgere lo sguardo verso ciò che è essenziale e veramente importante. Certo non si può negare che le emozioni che accompagnano queste giornate sono di ansia e di paura, ed è umano e normale che sia così. Prima di questa situazione avevamo la nostra vita, coi suoi problemi certo, ma comunque sotto controllo. Avevamo progetti di vita, programmi, propositi e improvvisamente tutto è stato stravolto, ma soprattutto abbiamo perso "l'illusione del controllo" sulla nostra vita. Va bene avere paura, va bene essere preoccupati, è naturale, questa situazione provoca stress ed è un peso emotivo sulle menti di tutti noi. Non è sano, invece, lasciarsi sopraffare da questi carichi emotivi. Molte persone soffrono di insonnia, pressione alta, difficoltà a concentrarsi, a provare motivazioni, ansia e depressione situazionale. Cerchiamo allora di seguire buone pratiche di alleggerimento del carico emotivo legato a questa situazione. Cosa non dobbiamo fare? Non sovraesporsi al clamore mediatico (evitare di fare ricerche compulsive su contagi, vaccini, evitare di seguire le notizie sui social, non fare abbuffate di notizie); non seguire compulsivamente quotidianamente i numeri di infetti e morti per Covid; non condividere informazioni non verificate alla fonte e comunque non condividere link allarmanti; non contribuire alla diffusione dello stress e del panico. Cosa dobbiamo fare? Informarsi solo mediante i canali ufficiali o testate autorevoli e limitatamente nel tempo; condividere link positivi e di speranza; aiutare a diffondere la calma; guardare canali che non trasmettano in continuazione notizie; ascoltare musica energizzante e positiva; parlare di altro con le persone evitando l'argomento Covid (che già impregna abbondantemente la nostra quotidianità); essere creativi (rispolverare giochi da tavolo, leggere libri, riprendere in mano strumenti musicali o di disegno/pittura, seguire ricette culinarie, ordinare la cena a domicilio e apparecchiare la tavola come fossi al ristorante o in un giorno di festa); cerca di tenere alto il tuo spirito e quello della tua famiglia. Se lavori da casa lavati e vestiti come se stessi andando a lavoro, lo stesso per i tuoi figli, vestili come se stessero andando a scuola. Non passare troppo tempo sul divano o a letto e cerca di fare attività fisica e preferibilmente anche un po di yoga, fisico e meditativo (è possibile fare molti esercizi anche a casa, esistono tanti video tutorial su YouTube). Tentare a tutti i costi di sopprimere le preoccupazioni o sottovalutare il problema è sbagliato, ma lo è anche farsi sopraffare da esso. Come sempre accade, la giusta via è nel mezzo. Bisogna essere vigili e consapevoli in modo lucido e razionale. Come gestire le emozioni e l'ansia?
IL SEGRETO È MANTENERE SEMPRE UN PENSIERO POSITIVO, CREATIVO E PROPOSITIVO. 3/10/2020 Bellissima riflessione dello psicologo Morelli che condivido pienamente. Invito tutti alla lettura.“Credo che il cosmo abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi, quando queste vengono stravolte. Il momento che stiamo vivendo, pieno di anomalie e paradossi, fa pensare... In una fase in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, la Cina in primis e tanti paesi a seguire, sono costretti al blocco; l'economia collassa, ma l'inquinamento scende in maniera considerevole. L'aria migliora; si usa la mascherina, ma si respira... In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class. In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all'altro, arriva lo stop. Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro. Sappiamo ancora cosa farcene? In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia. In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel "non-spazio" del virtuale, del social network, dandoci l'illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto. Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato? In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l'unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunita, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro. Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci. Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto. Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo." (Cit. F. MORELLI) Oggi vorrei occuparmi di uno dei capisaldi della professione dello psicologo, IL SEGRETO PROFESSIONALE. Il segreto professionale vale anche se il paziente è minorenne? Lavorando anche con adolescenti mi è capitato a volte di dovermi rapportare con genitori arrabbiati perché non ero disposta a condividere con loro gli argomenti trattati con i loro figli. Qualche volta mi sono sentita addirittura dire "mio figlio è minorenne e perciò è mio diritto sapere cosa le dice". Cercare di far capire al genitore che i loro figli, come chiunque altro, hanno dei diritti e che anche loro in terapia sono tutelati dalla privacy e dalla riservatezza non è sempre facile. Iniziamo facendo un po' di chiarezza sul "segreto professionale" cui lo psicologo è "deontologicamente ed eticamente" obbligato nei confronti del paziente. Intanto esiste una sostanziale differenza tra lo psicologo che lavora nel pubblico e lo psicologo in ambito privato. Lo psicologo privato, a differenza dello psicologo del servizio pubblico, che è un pubblico ufficiale, non ha obbligo di denuncia per reati già commessi, non può denunciare il proprio paziente, altrimenti rischia una denuncia penale dal paziente stesso (Art.622 del Codice Penale). Esistono però delle deroghe al segreto professionale: Qualora il reato confessato stia per essere reiterato con possibili lesioni gravi o morte di altri soggetti (compreso il paziente stesso), vi è la deroga per giusta causa. E' ugualmente considerata una deroga per giusta causa se è lo psicologo ad essere in pericolo di vita o di lesioni gravi. Anche in questi casi però si riferisce agli inquirenti solo lo stretto necessario e non i dettagli delle sedute. Dunque, tutti i pazienti, sia in ambito pubblico che privato, hanno dei diritti che sono specificati nel codice deontologico dello psicologo (reperibile nei siti degli albi). Tra questi diritti vorrei occuparmi nello specifico del diritto alla riservatezza e alla privacy. Intanto vediamo cos’è il diritto alla privacy. "Il diritto alla privacy è il diritto soggettivo di costruire liberamente e difendere la propria sfera privata, controllando l’uso che gli altri fanno delle informazioni che riguardano il singolo individuo: è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione." La privacy dunque rappresenta una sorta di "diritto individuale, che tutela il singolo", è il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, uno strumento posto a salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo contro l'intromissione da parte di terzi. Il CODICE DEONTOLOGICO si occupa di questo argomento nello specifico nei seguenti articoli: art. 4 (DIRITTO ALLA RISERVATEZZA): Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso. art. 11 (SEGRETO PROFESSIONALE): Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti. art. 12 (TESTIMONIANZA E DEROGA AL SEGRETO): Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso. art. 13 (OBBLIGO DI REFERTO E OBBLIGO DI DENUNCIA): Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi. Nello specifico, per quanto riguarda i minori si evince dal Capo II – Rapporti con l’utenza e con la committenza, art. 31 (CONSENSO INFORMATO MINORI): "Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte". Questo consenso viene sempre preventivamente fatto firmare dallo psicologo ad entrambi i genitori e tutela il minore nei suoi diritti di paziente/cliente in tutto e per tutto, inclusa riservatezza e privacy. Ne consegue che:
Lo psicologo deve comprendere e rispettare le esigenze di riservatezza del minore, tanto più quanto è maggiore la loro età e il loro livello di maturità. L’interesse dello psicologo è sempre quello di instaurare un rapporto fiduciario forte col paziente, minore o adulto che sia: è "la relazione" il principale strumento di lavoro in psicoterapia. Come ho scritto in una pagina del mio sito: "Attraverso la creazione di uno spazio personale, in questo ambiente protetto basato su un ascolto autentico e la sospensione di ogni forma di giudizio, si delineerà quella particolare relazione tra terapeuta e paziente che accompagnerà quest’ultimo nel percorso di crescita personale". Quando un genitore cerca di intromettersi in questo rapporto lo mina e quindi mina la terapia stessa. Resta il fatto che nei percorsi psicologici con minori i genitori vengono non solo coinvolti nel processo diagnostico (attraverso la restituzione della diagnosi), ma anche in quello terapeutico, nell'ottica di una collaborazione utile al raggiungimento degli obiettivi stabiliti in terapia. Le informazioni condivise col genitore sono stabilite dal terapeuta in base all'utilità e i vantaggi che questo può comportare per il minore e per il successo del percorso terapeutico. Uno degli obiettivi della terapia è quello di favorire e rinforzare il dialogo tra genitori e figli, quindi un loro coinvolgimento va sempre suggerito al paziente minorenne quando è utile. Lo psicologo non è alleato del figlio e nemico del genitore, semmai è il ponte che punta ad unirli, per questo i genitori dovrebbero fidarsi maggiormente dello specialista a cui affidano il loro figlio, e lo fanno contrattualmente nel momento in cui firmano il consenso informato. Lo psicologo deve quindi avvalersi della sua competenza e autonomia professionale per decidere se è opportuno o meno riferire al genitore delle informazioni sul figlio senza il suo esplicito consenso, valutando attentamente se tali informazioni tutelano la salute e il benessere del minore. In altri casi invece può risultare necessario coinvolgere i genitori, ma è importante anche non rompere il rapporto di fiducia con il minore e il suo diritto alla riservatezza. In questi casi si può concordare insieme al minore stesso la modalità di contatto con i suoi genitori e i contenuti della comunicazione. Quindi, per concludere, se lo psicologo ritiene che il suo silenzio non sia pregiudizievole per l'incolumità del minore, ha la facoltà e il "dovere etico" di garantirgli assoluta riservatezza. Nel caso in cui invece ritenga che tenere all’oscuro i genitori possa pregiudicare l'incolumità del minore può e deve informarli, senza che ciò si configuri come violazione del segreto professionale. Per tutti coloro che avessero domande o volessero anche solo partecipare dicendo il loro punto di vista, vi invito a scrivere nella parte apposita del blog. Allego copia di modello di consenso a visione degli interessati. Per domande sull'argomento scrivetemi all'indirizzo [email protected] o usate il modulo qua sotto e riceverete risposte in tempi brevi.
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Anna Rita Mancini
Psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicodinamico integrato con tecniche cognitive e tratte dalla Schema Therapy. Esperta in psicodiagnostica, orientamento e formazione. Dal 2007 mi occupo di supporto psicologico e psicoterapeutico per adulti e minori in età scolare, sia in materia di problematiche relazionali, affettive (di coppia, genitori-figli, sociali, ecc.), difficoltà di gestione dei conflitti personali e interpersonali, elaborazione di traumi legati a perdite affettive, educazione e genitorialità a 360 gradi, tema quest'ultimo sul quale ho tenuto corsi di formazione per le scuole pubbliche primarie e secondarie. Da diversi anni, inoltre, offro orientamento e supporto a coppie in fase di separazione e/o bisognose di un accompagnamento psicologico durante il periodo della difficile elaborazione decisionale. Archivi
Febbraio 2023
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